Gli zombie del terzo millennio
In uno dei momenti di relax che mi sono concesso in questi giorni sono riemerse dalla mia memoria alcune tematiche che mi avevano molto colpito quando studiavo psicologia dello sviluppo. Una di queste era il cosiddetto effetto cocktail party o attenzione selettiva, fenomeno che consiste, in sostanza, nella capacità di concentrarsi su uno specifico stimolo uditivo. Provate a immaginarvi nel bel mezzo di una festa, nel corso della quale siete colpiti da più stimoli contemporaneamente: la musica, il brusio di fondo, il tintinnio dei bicchieri. Nonostante questa cacofonia, il cervello umano è in grado di discriminare e focalizzare l’attenzione sulle parole che ci sta rivolgendo, ad esempio, un amico col quale stiamo intrattenendo una conversazione.
Adesso mi viene in mente un altro tema che mi fa molto riflettere, spesso anche in termini ironici: mi riferisco al multitasking, concetto mutuato dall’informatica ma applicabile alla vita di tutti i giorni. Quante volte, schiavi della tecnologia, ci è capitato di ascoltare un amico mentre, contemporaneamente, eravamo alle prese, ad esempio, col cellulare, dal quale non riuscivamo facilmente a staccarci? Anche in questo caso si può, in un certo senso, parlare di attenzione selettiva. Il problema è che la nostra concentrazione, ahimè, il più delle volte è rivolta all’oggetto piuttosto che alla persona che sta tentando di intrattenere con noi una conversazione, a prescindere dal tema della stessa. Sembra quasi impossibile fare a meno dei beni di consumo più aleatori, quando sarebbe sicuramente più istruttivo, socialmente utile, leggere un libro o fare una corroborante passeggiata.
La verità è che siamo circondati da oggetti, il più delle volte futili e non necessari e, pur rendendocene conto, non riusciamo a farne a meno. Tendiamo all’accumulo sconsiderato. Io stesso, che ho sempre pensato di non essere mai stato un accumulatore seriale, mi sono ritrovato di recente ad avere a che fare con una valanga di oggetti inutili che ho poi dovuto buttare in discarica, prima di concentrarmi sull’ennesimo trasloco. Una volta ho letto in un articolo delle interessanti dichiarazioni di alcuni dipendenti Amazon, i quali sostenevano di impacchettare una caterva di materiale superfluo che sarebbe poi stato smistato in maniera capillare. Loro stessi non si capacitavano di quanto la gente potesse spendere per acquistare roba di così infima rilevanza.
Gli Zombi nel cinema
Anche la settima arte ha affrontato questa tematica, alle volte con una lucidità e una ferocia inaudite. Facciamo un salto nel lontano 1978 e soffermiamoci su una pellicola più che mai attuale: sto parlando di Zombi, traduzione italiana di Dawn of the Dead, del maestro (scomparso qualche anno fa) George Romero. Se non avete ancora visto Zombi, fatelo presto, a prescindere dai vostri gusti cinematografici. Non si tratta di un “semplice” horror: la pellicola riversa sullo schermo, infatti, una serie di invettive nemmeno troppo velate alla società dei consumi, al punto che ne è stata girata qualche anno fa una versione grottesca intitolata L’alba dei morti dementi (Shaun of the Dead, del 2004, diretto da Edgar Wright), titolo piuttosto emblematico. Sulle strade delle città vediamo uomini intenti ad armeggiare con il proprio cellulare, incuranti della presenza dei loro simili sullo stesso marciapiede. Hanno già contratto il virus (tecnologico, in questo caso) ancor prima di trasformarsi in non-morti.
Zombi, girato con un budget limitato e coprodotto da Dario Argento (che ha collaborato anche alla sceneggiatura), per buona parte si ambienta non a caso all’interno di un immenso centro commerciale, epicentro più sfrenato del consumo dell’epoca moderna. Gli zombi di Romero si configurano come il frutto marcio di una società e dei suoi consumi più scriteriati. Il regista stesso dichiarava all’epoca che “in una società consumistica, noi, come loro, finiamo per comportarci in modo simile, come se fossimo eterodiretti all’acquisto di cose e merci, senza controllo”. Lo zombi, con la sua andatura dinoccolata, per quanto inquietante, non sembra essere una reale minaccia per l’umanità se considerato come individualità singola. Viceversa, muovendosi all’interno di un branco e acquisendo una mentalità di massa, assume connotazioni ben diverse, finendo per risultare letale per gli stessi esseri umani. In sostanza è proprio la mancanza di individualità, a scapito di un comportamento collettivo (dunque uniformato), che rende, a detta di Romero, la società stereotipata e standardizzata. Emblematico come l’oasi di salvezza per i protagonisti della pellicola fosse stata individuata proprio all’interno di un centro commerciale, dentro il quale si erano ammassati.
Zombi e non solo
Zombi che, in sostanza, vediamo ogni giorno: intenti a fare la fila per le scommesse sportive o il superenalotto, alle prese con la schiavitù dei social o, ancora, alla ricerca dell’ultimo modello di iPhone per stare al passo con i tempi. Sono per davvero lo specchio della decadente società occidentale attuale, con il suo stile di vita dedito al consumo che Romero aveva riversato su celluloide con una lucidità impressionante per l’epoca. Ma sono anche altri i temi che vengono toccati dal geniale regista americano nella sua nota trilogia che meriterebbero di essere approfonditi in un capitolo a parte. Nel primo episodio del 1968 (La notte dei morti viventi), girato in un fantastico bianco e nero, qualcuno ha visto nella morte dell’unico superstite (un afroamericano), perlomeno fino alla drammatica scena finale, una sorta di rimando agli assassinii di personaggi iconici come Malcolm X o Martin Luther King. Come a dire che la presenza degli afroamericani, già allora, era mal tollerata. Il tema è ben articolato ed è un bene che la settima arte non si mostri reticente di fronte a tutto ciò. Gli zombi, d’altra parte, sono intorno a noi e sembrano in rapida moltiplicazione.