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12 Dicembre 2024 - Cinema

Un viaggio nostalgico nell'epoca delle notti magiche, del grunge e di un cinema che ha segnato generazioni

Un carico da 90
  
Spesso si ha la tendenza a guardare indietro nel tempo. Alle volte lo si fa con malcelata nostalgia, come quando sfogliamo un vecchio album di foto ingiallite (non esisteva ancora il digitale) e ci accorgiamo di come eravamo, chi abbracciavamo, non di rado inorridiamo per l’outfit improponibile che ci contraddistingueva; altre volte questo percorso a ritroso avviene senza provare il benché minimo rimpianto, come se avessimo volutamente resettato un passato che non ci appartiene più o, ancora più banalmente, perché certi istanti si sono persi nel vento tiepido dei ricordi.

Premesso che non mi sono mai piaciute le cosiddette operazioni revival, trovo sia comunque utile guardarsi indietro. Capire cosa siamo significa anche riconoscere quello che eravamo, cosa abbiamo vissuto per comprendere meglio quello che stiamo vivendo.

L’epoca che sento più mia, anche per questioni anagrafiche, sono i cosiddetti anni ’90, quelli delle indimenticabili notti magiche, con gli occhi spiritati del picciotto Totò Schillaci (ciao Totò, ovunque tu sia) e le magie del Pallone d’oro Roberto Baggio.

Cominciavamo a connetterci col mondo; il 6 agosto del 1991 venne, infatti, creato il primo sito web della storia e, da lì a poco, navigai (quella parola mi faceva tanto sorridere) per la prima volta su un sito internet in cui si parlava di Juventus, con un allora mio compagno di classe, tifoso sfegatato come me.

Vennero messi in commercio i primi cellulari, pesanti, costosi e ingombranti come citofoni. Chiamare qualcuno da una cabina telefonica, allora, sarebbe stata considerata roba da boomer. Ricordo come fosse ieri quando scoppiò la Guerra del Golfo con l’operazione Desert Storm; ero uno studente del Liceo Scientifico e avevo tanti sogni nel cassetto. Quell’avvenimento ci toccò nel profondo perché scoprimmo la guerra con i nostri occhi ancora innocenti.

In quei magnifici e spensierati anni ’90, con un gruppetto di amici che, grossomodo, era composto sempre dalle stesse persone, amavamo trascorrere i nostri pomeriggi nell’allora unico cinema che Sciacca potesse annoverare. Se ci ripenso oggi, a distanza di 30 anni, non posso non rilevare un aspetto: la qualità del cinema era decisamente più elevata rispetto ad oggi. Opere seminali, film che hanno fatto epoca: c’era un’autenticità che non ho avuto modo di riscontrare con frequenza nel cinema odierno, così legato alle logiche di mercato. La realtà è che il cinema di qualità esiste ancora, ma va il più delle volte ricercato nei circuiti alternativi, come nei cinema d’essai o nei festival indipendenti, come il Sundance, festival che (non a caso) prese piede proprio negli anni ’90.

Cineasti di grido come Lynch, Eastwood, Tarantino, Burton sono al massimo del loro splendore. Titoli come Thelma & Louise, Pulp fiction, Matrix, Gli spietati, Il silenzio degli innocenti, The Truman Show, Dead man walking, Strade perdute, Philadelphia (e l’elenco sarebbe ancora lungo) a distanza di anni non hanno perso un grammo del loro smalto e della loro potenza visiva, avendo avuto dalla loro sia il plauso del pubblico, sia gli onori della critica tout court.

Anche il cinema indipendente, come quello dei fratelli Coen, trova una sua strada da percorrere, con un capolavoro come Il grande Lebowski, che viene citato in una miriade di saggi cinematografici e studiato nelle più importanti scuole di cinema. Come non menzionare Spike Lee, col suo cinema scomodo e senza filtri (Malcom X, Clockers, Mo Better blues sono i suoi titoli più rappresentativi di quella decade). Una pellicola come Edward Mani di Forbice è decisamente il più iconico di Burton in assoluto: splendido nella messinscena, con un messaggio educativo che non muore mai. Si può dire, senza ombra di dubbio, che il cinema degli anni ’90 fosse un cinema più impegnato politicamente rispetto a quello dei nostri giorni.

Molti film raggiungono il successo con il semplice passaparola del web. Un caso eclatante è costituito dalla pellicola The Blair Witch Project. Girato con un budget risibile, seminò il panico a livello planetario. I produttori fecero credere che si trattasse di una storia vera, accrescendo l’attesa già spasmodica degli spettatori. In realtà, un simile espediente era stato già usato in Italia col film cult Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato qualche anno prima (nel 1980).

Se, da un lato, i film di cassetta venivano premiati nel rituale annuale della Notte degli Oscar, festival indipendenti, come il già citato Sundance o l'Independent Spirit Awards valorizzavano il cinema cosiddetto indie.

Infine, attori come Tom Cruise, Keanu Reeves, Nicole Kidman, Johnny Depp, Leonardo Di Caprio, Julia Roberts diventano delle vere e proprie star internazionali, con un onorario già allora stellare.

A livello musicale quegli anni non furono da meno. Tante sono le novità che, ancora oggi, rendono alcuni album veri e propri classici, per non dire delle pietre miliari. Nei primi anni ’90 si ha un exploit considerevole dei bootleg, contenenti dei concerti in serie super limitata. Ricordo un live di Buddy Guy che possiedo ancora adesso, dalla qualità sonora decisamente bassa ma che aveva il vantaggio di restituirci un asso delle sei corde in una delle sue classiche e infuocate performance. Il cd finì gradualmente per soppiantare il vinile. Oggi, invece, sta accadendo l’esatto contrario, con un ritorno in grande stile addirittura delle musicassette e dei preistorici walkman.

A Seattle (ma ben presto arrivò a Hollywood) nasceva un genere come il grunge, con band come i Nirvana, i Soundgarden e gli Alice in Chains che diffusero un nuovo linguaggio su scala mondiale, sicuramente di rottura, fatto di chitarre distorte e riffettoni abrasivi, mentre su Videomusic il video di Smells Like Teen Spirit andava in heavy rotation e si assistette a un’impennata di vendite delle classiche camicie di flanella da boscaiolo, tipiche di quegli anni e di quel genere di musica. Come si spiega il boom del grunge? Paolo Bardelli, a riguardo, è illuminante: “Il ’91 è un anno che ha ridato fertilità ad un genere che ha degli acciacchi. È come se il rock fosse andato alla ricerca di se stesso e attraverso la conoscenza di altri generi si sia contaminato al punto da cambiare i suoi stessi cromosomi”.

Nel Regno Unito imperversa un genere come il brit pop con band come gli Oasis e i Blur (rivali anche a livello mediatico) con album come Parklife (Blur) e (What’s the story) morning glory (Oasis) campioni di vendite. Nasce il genere crossover, con le sue infinite contaminazioni: impossibile non menzionare band come i Fishbone e i Living Colour.

Noi ragazzi credevamo di essere fighi da paura ascoltando band come i Guns N' Roses, che ci facevano sentire trasgressivi, mentre la morte di Freddie Mercury, che scioccò il mondo intero (si iniziava da poco a parlare di AIDS) concludeva la parabola artistica dei Queen.

Successero davvero tante cose in quella decade, contraddistinta dalla voglia di suonare, di essere creativi, con il ritorno di suoni più veri, a volte più grezzi, abbandonando gradualmente quelli campionati, le batterie elettroniche degli anni ’80 e gli ampli a transistor (specie nel pop) a favore di quelli a valvole, in una sorta di revival del vintage sound.

Ci sarebbero ancora tante cose da dire e da raccontare, tanto furono significativi quegli anni. Ne sono passati circa 30 e sembra ieri, ma il cinema e la musica di qualità non tramonteranno mai.


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