Il caso Zanfretta
Quando si parla di UFO, è noto, la platea si divide in scettici e possibilisti. Al netto anche delle recenti ammissioni dei portavoce del Pentagono, che hanno confermato l’esistenza di programmi segreti di studio dei fenomeni aerei non convenzionali, molto spesso sugli Oggetti Volanti Non Identificati (OVNI in italiano) si contrappongono posizioni fideistiche e scettiche. Come per tutte le tematiche di confine, l’approccio pienamente laico alla materia, ancorato ai fatti, scientifico e non penalizzato dall’atavico pregiudizio del siccome non può essere allora non è resta purtroppo quasi sempre una chimera.
Se ciò è vero per l’indagine sugli avvistamenti di questi oggetti che dimostrerebbero di farsi beffe non solo delle leggi dell’aerodinamica ma anche di quelle dello spazio-tempo, almeno per come le conosciamo noi, figuriamoci quando l’acronimo UFO viene utilizzato per indicare casi di presunte interazioni con entità altre, ree magari di rapire sventurati esseri umani trovatisi nel posto sbagliato al momento sbagliato – o al momento giusto, a seconda di come la si voglia vedere. Insomma, quella delle abductions (per dirla all’americana) è la parte più estrema dell’ufologia e non stupisce che venga spesso approcciata dall’opinione pubblica con scetticismo, complici anche i molti ciarlatani che spifferano pubblicamente di fare colazione tutti i giorni con umanoidi macrocefali o angeli rivestiti di tute spaziali.
Non tutti sanno, tuttavia, che uno dei casi più eclatanti e in parte inattaccabili di questa inquietante casistica mondiale di incontri con visitatori da altrove batte bandiera italiana e ha compiuto ormai quarant’anni senza che nessuno sia mai stato in grado di ridimensionarlo o dimostrare la malafede dei suoi protagonisti. Parliamo delle disavventure dell’ex metronotte genovese Pier Fortunato Zanfretta, che tra 1978 e 1980 fecero ammattire non solo l’istituto di vigilanza privato Valbisagno per il quale la giovane guardia giurata lavorava, ma anche polizia, carabinieri, giornali, televisioni e più in generale qualunque persona dotata di equilibrio e buon senso.
È merito dello straordinario resoconto del giornalista genovese Rino Di Stefano, all’epoca cronista di nera (erano gli anni di piombo), se questa storia è stata tramandata di generazione in generazione conservando i connotati della vicenda di cronaca – quale essa fu veramente – piuttosto che svanire nel dimenticatoio per il progressivo venire meno di tutte le sue malcapitate comparse, magari avvolta da un’aura di fiaba o leggenda. Il Caso Zanfretta, la vera storia di un incredibile fatto di cronaca appunto, giunto oggi alla sesta edizione con opportune integrazioni, è un racconto dettagliato ed esemplare che si attiene scrupolosamente ai fatti, senza mai indugiare su fantasie o voli pindarici, ancorato alle prove oggettive, mediche, alle attestazioni delle forze dell’ordine che furono coinvolte nelle indagini.
Tutto ha inizio nell’entroterra di Genova (Marzano, vicino a Torriglia) la notte tra il 6 e il 7 dicembre 1978. Mentre si trovava in perlustrazione presso le abitazioni della zona, come era solito fare ogni notte per lavoro, Zanfretta notò che intorno a una villa in quel momento non abitata quattro luci si muovevano come fossero state torce di ladri in ricognizione. Impugnata la pistola, dopo aver dato l’allarme alla centrale operativa via radio, si recò presso l’abitazione cercando di sorprendere i malviventi. D’un tratto però una forte spinta lo fece rotolare nel prato: messi a fuoco i contorni di chi lo aveva aggredito, l’uomo in stato di shock raccontò ai soccorritori di essersi trovato faccia a faccia con un gigantesco umanoide alto tre metri, che subito dopo volò via su un oggetto volante triangolare sormontato “da lucette di diverso colore”. Sembrerebbe il plot di un film di fantascienza, se non fosse che i carabinieri del posto raccolsero ben 52 testimonianze visive dell’oggetto (tra le quali anche quelle del sindaco e del parroco), oltre a mettere agli atti un’impronta semicircolare di tre metri di diametro e profonda tre centimetri sul prato adiacente alla villa, ben visibile sull’erba ghiacciata, come se un oggetto di grosse dimensioni si fosse effettivamente posato dall’alto.
È appena l’inizio di una storia incredibile, che ebbe riscontri oggettivi e inconfutabili: vetture che si spegnevano improvvisamente (tra cui anche quelle dei metronotte e delle forze dell’ordine che andavano in perlustrazione), tracce sul terreno, orme gigantesche, avvistamenti di oggetti volanti, luci estemporanee dal cielo, autoveicoli sollevati da terra e molto altro. Per salvare il posto di lavoro, Zanfretta accettò di sottoporsi a ogni genere di verifica clinica, psichiatrica, a svariate sedute di ipnosi condotte dall’ipnoterapeuta genovese Mauro Moretti, al pentotal (il cosiddetto siero della verità), perfino di farsi sondare dal padre della psicanalisi italiana Cesare Musatti. Nessuno riuscì mai a cogliere elementi patologici o di contraddizione tra i risvolti degli incredibili incontri ravvicinati notturni, dei quali Zanfretta da sveglio ricordava solo le parti iniziali e finali (il resto era velato da strutturali amnesie antalgiche): sotto ipnosi (o pentotal) l’uomo mostrava coerenza e lucidità, riportando informazioni di cui in nessun modo avrebbe potuto disporre - come quando descrisse le scene dei soccorsi dall’alto o anticipò di qualche ora il servizio internazionale dell’Ansa prima che un avvistamento ufo in Spagna divenisse di dominio pubblico.
Da questa storia l’ex metronotte non ricavò mai nulla, se non problemi e seccature: la sospensione del porto d’armi, la derisione dell’uomo della strada e di chi scriveva sui giornali (spesso con approssimativa leggerezza), fino al divorzio e a svariati problemi di salute. Dal momento che nessuno riuscì a porre fine alla vicenda, adducendo le prove inconfutabili di una frode o dell’esistenza di alieni in grado di prelevare e seviziare un essere umano contro la sua volontà, a un certo punto si scelse di far calare il silenzio. Il rapporto informativo che il brigadiere di Torriglia Antonio Nucchi inoltrò alla Pretura unificata di Genova per via dei reiterati e inspiegabili accadimenti venne archiviato per mancanza di estremi di reato; perfino i carabinieri valutarono buono il grado di attendibilità dei fatti nei telegrammi inviati al Ministero dell’Interno e agli alti comandi militari italiani. Di Stefano attese ben quattro anni di riflessioni per pubblicare nel 1984 la prima edizione del suo dettagliato resoconto, comprensivo anche delle parole riportate da Zanfretta sotto ipnosi e trascritte alla lettera, molte delle quali in una lingua strutturata ma sconosciuta.
Il volume Il Caso Zanfretta, la vera storia di un incredibile fatto di cronaca del giornalista genovese Rino Di Stefano nella sua ultima edizione (datata 2014) è riferimento ineludibile per attenersi alla cronaca di quei giorni, senza lasciarsi suggestionare dalle leggende alimentate negli ultimi anni anche dal protagonista stesso, ampiamente provato e ormai inattendibile nel ragguagliare su portali invisibili e messaggi telepatici da altri mondi. Come gli straordinari eventi narrati si manifestarono all’improvviso, così a un certo punto cessarono, lasciando questo allora ventiseienne padre di famiglia, astemio e dedito al lavoro, con la vita devastata e il classico cerino in mano. Immaginate cosa possa provare un individuo che ha perso tutto suo malgrado, impossibilitato a maturarne il movente anche dopo più di quarant’anni, sovrastato da avvenimenti ineffabili per qualsiasi essere umano, sorretto dalla sola consapevolezza di essersi trovato una fredda notte di dicembre al momento sbagliato nel posto sbagliato. Prima di giudicare o dileggiare, occorrerebbe tenerne conto.
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