Il mistero delle Voci Notturne
“Nella Roma imperiale sussistevano i resti di uno strano ponte di legno. Era composto da travi sublique e oblique, senza chiodi e affidato a persone sacre, una sorta di fratellanza o setta, che rispondeva, con la vita dei suoi membri, della sua conservazione. A costoro derivò il titolo celeberrimo di pontifex, ossia pontifici, o facitori del ponte. Su questo ponte si compivano in epoca arcaica misteriosi e segreti sacrifici”
È il 24 settembre 1995 quando, su Rai1, approda l’ultimo tentativo (fuori tempo massimo) di calamitare l’attenzione del grande pubblico con una storia dai tratti esoterici e occulti. Il richiamo è ai grandi sceneggiati di due decenni prima, ma i tempi sono cambiati e l’esperimento tra i contemporanei non dà buoni frutti. Eppure, Voci Notturne fu scritto nientepopodimeno che da un Pupi Avati in stato di gotica grazia: il regista bolognese sarebbe stato prossimo a un capolavoro come L’arcano incantatore (proiettato sul grande schermo l’anno successivo, nel 1996) ed era reduce da La casa dalle finestre che ridono, culto oscuro della cinematografia italiana anni ’70. La regia fu affidata a Fabrizio Laurenti, già noto per film horror di grande successo (La Casa 4 e Contamination .7), e nel cast figuravano attori importanti o che divennero famosi di lì a poco: da Massimo Bonetti a Jason Robards III, da Stefania Rocca e Stefano Accorsi a Mary Sellers e Lorenzo Flaherty.
La storia è avvincente, tanto colta quanto intricata: le tenebrose atmosfere de Il Segno del Comando di Giuseppe D’Agata e Flaminio Bollini sono proprio lì, dietro l’angolo. Dopo il ritrovamento di un giovane cadavere nel Tevere, si dipana una fitta trama poliziesca italoamericana che mira anzitutto a identificare non solo la causa del decesso (suicidio oppure omicidio?) ma l’identità stessa del ragazzo coinvolto, dal momento che il principiale indiziato continua a telefonare ai genitori dall’aldilà (le voci notturne del titolo). Così, tra scandali politici (Mani Pulite era storia recente) e ricatti, si fa strada con foga l’anima vera dello sceneggiato, quella più oscura: religioni antiche, culti sacrificali, atroci segreti legati all’Olocausto e un inquietante uomo nero, il Norberto Sinisgalli che nella fantasia del racconto riecheggia la mai identificata figura storica dell’alchimista Fulcanelli.
Malgrado tutto questo bendidio, la cadenza settimanale inizialmente prevista per la messa in onda viene scompaginata dopo le prime puntate, con le ultime due trasmesse una di seguito all’altra, a notte fonda e senza preavviso. Ad aggiungere sale alla damnatio memoriae, il mancato riversamento della pellicola su VHS o DVD nonché la scomparsa dell’opera (ben sette ore e mezza di durata) dai palinsesti televisivi per almeno quindici anni. Al suo ritorno, su Rai Premium, Voci Notturne fu deprivato di ogni riferimento a una setta new age americana immaginata nella sceneggiatura, La Società Teosofica per il Ritorno dello Spirito Originario, perché la vera società teosofica italiana si impose su certi macabri rimandi al suo nome. Con buona pace degli spettatori, impossibilitati a comprendere la storia nella sua interezza.
Nel frattempo, attorno allo sceneggiato si forma l’alone mitico: realizzato con un budget ridotto, il film è riscoperto grazie alla rete e fa breccia tra i cuori dello stuolo crescente di appassionati. Le suggestioni, i rimandi storici e letterari, la diegesi risentono della sapientissima mano del maestro Avati. Il ponte Sublicio, intorno a cui ruota la parte più esoterica del racconto, è stato effettivamente il più antico e sacro ponte di Roma (quello che appare oggi, con lo stesso nome, venne eretto tra 1914 e 1918): edificato esclusivamente con travi di legno duro, la tradizione racconta che fu teatro di sacrifici umani compiuti per ingraziarsi gli dèi. Proprio come nello sceneggiato. E anche il garum, di cui il cadavere al centro della storia è spalmato, era una salsa nota ai Romani, sebbene utilizzata più a fini culinari che magici. Insomma, molto prima di Dan Brown e dei suoi racconti, in Rai i soggetti storici intrecciati al soprannaturale erano di casa.
Il trattamento riservato dall’azienda pubblica alla pellicola di Avati è sintomatico dell’epoca in cui viviamo: da una parte i dirigenti RAI, non credendo nell’opera, l’hanno boicottata bistrattandola; dall’altra parte, il pubblico, condotto per mano dal demiurgo Berlusconi e dalle sue televisioni in un mondo frivolo quanto edonistico, mostrava da diversi anni marcati segni di insofferenza verso l’intrattenimento di alto profilo. I tempi di Non è mai troppo tardi, con cui la televisione di Stato elargiva un servizio realmente pubblico e gratuito di alfabetizzazione oltre l’età scolare, erano già allora passato remoto.