Un cinghiale - InEsergo

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04 Giugno 2023 - Storie

In cima a un albero a scrutare il mondo
 
Un cinghiale
 
I voluminosi malloppi fotocopiati, che si era portato dietro assieme alla sua buona volontà, sembravano guardarlo più con rassegnazione che con rimprovero mentre lui se ne stava a fissare un punto del cielo con sguardo opaco e il fumo si dipanava lento davanti ai suoi occhi.
 
Sentiva la testa leggera ma pesante, vuota e piena, come quei palloncini presi alle feste di paese, che prima ti dicono "attento che vola via!" e dopo qualche giorno rimanevano a mezz'aria; patetici, stanchi, incerti se lasciare questo mondo per sempre con una bella pernacchia o invece sottomettersi alla legge di gravità, questa grande bastarda, il prototipo di tutte le leggi, umane, divine o chi per loro.
 
Così pensava e così si sentiva, in quel momento della sua vita: beatamente in mezzo a tutte le cose e davvero dentro a nessuna.
 
C'era poi lei, che si era infilata nella sua esistenza senza neanche bussare, abbattendo la porta. Avevano vissuto le stesse vite, solo in due posti diversi e molto lontani; e da quando si erano incontrati tutto era perfetto, ma poi... niente, lasciamo perdere! E poco fa che cosa gli aveva detto? Ah, ecco! No, non se lo ricordava più. "Ahahahah!" - sghignazzò a scena aperta. Era tutto così strano, la testa gli girava! Decise di stendersi per terra. "Fanculo", sibilò lentamente. Adesso quasi piangeva, con la testa appoggiata di lato sul braccio sinistro. Non era lì per pensarci, si disse.
 
Da quella prospettiva il prato era un muro troppo irregolare, a ciuffi radi come... come capelli su una testa calva. Sul muro avanzava una sagoma grossolana e scura a piccoli sobbalzi, che lui guardava sognante come un bambino. Mentre il ragazzo giaceva scompostamente sul prato del parco, il grosso cinghiale ispido, di cui ora vedeva benissimo il muso rosa e umido, grufolava a due passi da lui. E fu come lo avessero spinto nell'acqua ghiacciata.
 
"Brevissimo ripasso mentale: è un cinghiale; cinghiale-cinghiale: stare fermi, fermissimi! Sì! No! No, quello orso. Cinghiale forse non così pericoloso allora; no, pericoloso. Mortale. Che cazzo faccio? Fare paura: cinghiale scappa. Sì, scapperà sicuramente se mi alzo all'improvviso."
 
Aspettò ancora due secondi e poi scattò come una molla, si piantò sui piedi, allargò le braccia, gonfiò quanti più muscoli poté nel minore tempo possibile. Comunque non urlò, e forse fu una scelta saggia. Emise giusto un grugnito basso e prolungato, terribile davvero a sentirsi, che poteva provenire da una caverna lì vicino.
 
L'animale si tirò un poco indietro spaventato, ma niente di più. "Merdaaaaa!" Lui sanguinante, tutto lacerato dalle zanne della bestia, i vestiti strappati. Lui probabilmente morto.
 
L'animale lo guardava ancora con occhi vivaci, resi forse più brillanti da una certa agitazione. Che momenti! Non sembrava proprio che lo stratagemma funzionasse. Ma proprio allora adocchiò un albero. Doveva riuscire a salirci. Cercò di farlo muovendo il piede destro verso l'esterno, poi il sinistro. Il cinghiale respirava frequente, più frequente di noi. Pian piano, il ragazzo prese una distanza; poi, all'improvviso, l'animale si disinteressò di lui e cominciò a girellare lì intorno. Il nostro ragazzo lo guardò del tutto stordito. Ad ogni buon conto, appena la bestia fu fuori tiro, schizzò di corsa verso l'albero e si arrampicò come un forsennato. Scalciò malamente sulla corteccia e con fare davvero goffo riuscì a salire. Naturalmente, l'animale, che era tornato, attratto dal chiasso che faceva, avrebbe potuto ucciderlo un paio di volte in questo delicato passaggio. Ma non ne aveva intenzione. I cinghiali non si arrampicano, cristo! - pensò il ragazzo. Era vero: un secondo dopo aveva ripreso a vagare per il prato.
 
"Fanculo pure a te!", gridò mezzo euforico, mezzo esasperato: "che pezzo di merda!" e varie altre cose simili, finché non si ritrovò abbracciato al ramo e senza fiato.
 
Cos’era il mondo da lassù! La prospettiva delle case era tutta diversa. I ragazzi che poco lontano sulla strada principale passavano con zaini carichi erano animaletti come le formiche.
 
"Altro che scendere! Io resto qui!", pensava. Aveva ancora tre cannette nella tasca della giacca. Bisognava solo prendere il cellulare giù per avvisare i ragazzi. I libri li avrebbe ripresi dopo.
 
Fu prudente: cominciò la discesa solo quando si sentì lucido abbastanza. Ci mise una vita. Poteva già mollare la presa, era ridicolmente vicino a terra, ma non se n'era accorto. E in quel momento la malabestia zompò fuori da un arbusto. "Cazzo, cazzo!", urlò lui col culo per aria (e meno male che non era ancora sceso). Insomma, dovette risalire con suo grande, grandissimo disappunto.
 
Fioccarono nuove maledizioni contro il selvatico. L'animale montava la guardia lì sotto che sembrava il picchetto contro lo sgombero. "E va bene!", pensò esasperato. Senza cellulare, senza libri, con il terrore nel cuore ogni volta che controllava giù: così andò avanti, mentre intanto il cielo virava all'arancio. "Beh, tanto vale", disse cercando l'accendino. "Io l'intenzione di studiare l'avevo". Sentì dentro la sua coscienza ribellarsi e ne rise. Era consolante sapere di avere un carattere, di qualsiasi tipo fosse. Adesso che era fuori da tutto poteva osservare il mondo scorrere senza di lui. A quell'ora la gente faceva aperitivo, pensò. I suoni della città erano lì vicino, ma sembravano distanti anni luce. Solo un po' di vento frusciava tra i rami. Non ci aveva mai fatto caso che al mondo di lui non importava un bel niente. Aveva tutto il tempo che voleva. Poteva scendere domattina ed entrare a lezione senza battere ciglio, e poi poteva raccontare cosa gli era successo; oppure no, tenerlo per sé. A chi avrebbe importato?
 
Poteva invece andare in stazione, prendere un treno per tornare a casa o fare l'interrail. Cazzo, era proprio quello che doveva fare! E al diavolo tutto!
 
Scese maldestramente, con l'ultima canna in bocca, facendo attenzione a qualsiasi rumore di frasche. Ma accidenti, non si sentiva un cavolo. La morte poteva aspettarlo lì giù a fauci aperte. Se fosse morto in quel modo, suo padre glielo avrebbe rimproverato all'infinito. "Sei un coglione!", gli avrebbe ripetuto. E sì, d'accordo, ma almeno poteva pretendere un po' di dignità? Per una volta che faceva una scelta? E intanto scendeva, un passetto alla volta, scandendo imprecazioni. Sua madre, poi, avrebbe fatto causa al comune. Perché lui era il piccolino di casa, tenerello! "Certo, come evento è insolito: un cinghiale nel parco! Ma chi ci è voluto andare? Io! Non sono un bambino!", disse ad alta voce. In quel momento appoggiava i piedi a terra e con quel suo sguardo serio e deciso, parve un fatto solenne come la discesa del primo uomo sulla Luna. Della minaccia del cinghiale non si ricordava più. Come se nulla fosse, prese la sua roba e si avviò al cancello. Qui fece un controllo veloce dei soldi che aveva: per l'andata in Germania bastavano. In quel momento squillò il telefono.
 
"Pronto?"
"Ma dove cazzo sei?"
"Che c'è, ti sono mancato?"
"Dai, qui siamo tutti pronti e aspettiamo te. Inviti tutti a casa mia e poi sparisci?" Ah, già. La serata pizza. La fame c'era.
"Ma mi senti? Che pizza vuoi? Ti prendo la solita?" "Sì, amore, grazie. Porto io da bere. Ciao".
Al limite sarebbe partito domani.




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