È possibile ereditare il trauma dei nostri antenati?
“Non è dunque lecito credere che una generazione possa nascondere alla successiva i suoi processi psicologici più rilevanti”
Sigmund Freud
Nell’esercizio della mia professione come psicoterapeuta incontro tante coppie in difficoltà, giovani e adulti in conflitto con i genitori e i fratelli; padri e madri alle prese con figli “difficili”; professionisti con il problema di gestire gruppi di lavoro e i rapporti con colleghi e superiori.
Oltre a prendere in considerazione le molteplici variabili che incidono sulla qualità dei rapporti interpersonali (sia di carattere individuale che sociale), un grande aiuto nel comprendere e nel far superare tali difficoltà è stato quello di valutare un elemento significativo e cioè la posizione di nascita all’interno del sistema familiare che offre una chiave di lettura dei conflitti interpersonali.
Molti di noi sono cresciuti insieme a fratelli e sorelle, sia naturali che acquisiti, e apprezzano il fatto di averli avuti; c’è chi, invece, preferirebbe essere solo perché il fratello o la sorella sono stati e continuano a essere fonte di dolore, di rabbia, di invidie a causa di torti e ingiustizie subite, ritenute insanabili. Alcuni figli unici al contrario si rammaricano della loro solitudine e ne lamentano la mancanza; altri invece, guardando i conflitti dei loro amici, si ritengono fortunati così come sono.
Certamente, vivere insieme a fratelli e sorelle è un’esperienza molto utile per la crescita e la maturità sociale, sia se viene vissuta all’insegna dell’armonia, dell’amore, della solidarietà o al contrario se viene accettata per forza di cose e fonte di perenne conflittualità, anche dopo la scomparsa dei genitori. Comunque sia, rappresenta una palestra in cui si possono apprendere lezioni per conoscere le proprie modalità di dare e ricevere amore, le aspettative che si hanno verso gli altri e verso la vita, i modi di reagire in presenza di frustrazioni o gelosie.
In questo articolo, tento una sintesi degli studi condotti sul tema, descrivendo il più semplicemente possibile le caratteristiche e le tendenze psicologiche di ciascuna posizione di nascita (primogenito, secondogenito, terzogenito, figlio unico, gemello), i meccanismi della gelosia e dell’invidia. Metterò in evidenza alcuni “schemi” o ripetitività in base ai quali scegliamo i futuri partners, le amicizie, la professione e le motivazioni possibili dei conflitti sul posto di lavoro.
Risulterà che ci impegniamo quotidianamente a trasferire nel presente le esperienze del passato. Liberarci da vecchi rancori, gelosie, invidie e conflitti non è poi così difficile. Basta riconoscere e cambiare il proprio stereotipo di base, un modo psicologico e comportamentale appreso nell’infanzia e mai verificato, che viene ripetuto automaticamente nonostante le novità che la vita ci propone.
Mi auguro che in questo piccolo lavoro possiate trovare spunti di osservazione, di riflessione e di consapevolezza, per migliorare le relazioni affettive e sociali che sono alla base del nostro benessere.
Preciso che, quando parlo di fratello, userò il termine in senso estensivo, facendo riferimento sia al fratello che alla sorella.
1. GLI STUDI SUI FRATELLI
La famiglia è un’istituzione sociale; ci sono regole da rispettare e su queste regole si fondano le modalità di interazione tra i suoi componenti: quando e come si mangia, quando e come si va a letto, quando e come si guarda la tv, come si esprimono i propri sentimenti, ecc. La famiglia rappresenta per ognuno di noi il primo luogo di apprendimento e di interazione sociale ma anche delle modalità affettive: è qui che viviamo i primi amori e i primi odi in rapporto ai genitori, ai fratelli e alle sorelle e anche ai nonni e ai cugini più stretti. Questi primi rapporti sono molti importanti perché come vedremo potranno condizionare sensibilmente lo stile delle nostre future relazioni amicali, sentimentali e sociali.
Avere un fratello e viverci insieme non è poi così semplice e naturale anche se la maggior parte delle persone, desidera una famiglia con almeno due figli. Ricordiamo tutti l’uccisione di Abele da parte di Caino così ben descritta nella Bibbia. La gelosia verso il fratello minore fece scaturire quello che segnò il conflitto mitico per eccellenza e da cui gli studi psicologici presero spunto per descrivere i conflitti tra fratelli. Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi, mise in evidenza la presenza di una rivalità nel legame fraterno e attraverso l’analisi dell’attività onirica descrisse come nell’inconscio siano presenti desideri di eliminazione e gelosie fortissime che possono trovare espressione e realizzarsi nei sogni di morte dei fratelli. Asseriva inoltre che, anche se al termine “fratello” veniva associato il significato di fratellanza, condivisione, solidarietà, cordialità, amore ecc., in realtà il fratello non ama necessariamente i suoi fratelli, anzi spesso li odia, vedendo in essi i propri rivali. Questo atteggiamento permane per molti anni e può durare tutta la vita.
Anche Lacan ha affrontato il tema delle relazioni tra fratelli ponendosi nella prospettiva del primogenito che vede i fratelli minori come intrusi e verso i quali si prova sentimenti di gelosia. Se questo intruso arriva prima che il bambino sia stato svezzato, cioè abbia avuto il tempo di sentirsi sicuro dell’amore dei genitori (prima dei tre anni), il fratellino sarà considerato un ostacolo e susciterà in lui impulsi distruttivi misti al senso di colpa. Se invece l’intruso arriva dopo, il sentimento nei suoi confronti potrà essere ambivalente: i sentimenti di odio verranno “sublimati”, cioè trasformati in manifestazioni di tenerezza o di severità. I fratelli possono quindi vivere da nemici ma sentirsi anche molto uniti.
Comunque sia, il rapporto di fratellanza permetterà a ciascuno di confrontarsi con aspetti di sé che vede nell’altro e di aiutarsi reciprocamente nel percorso della maturazione psicologica e nella costruzione di una specifica identità.
Chi ha aperto un grande strada sullo studio dei fratelli è stato Alfred Adler, medico psichiatra, psicoanalista austriaco, fondatore insieme a Sigmund Freud e Carl Gustav Jung della psicologia psicodinamica. La sua storia familiare ha avuto senz’altro una grande influenza sulla scelta della sua professione. Secondogenito, aveva un fratello maggiore di nome Sigmund (come Sigmund Freud) i cui rapporti nell’infanzia erano stati caratterizzati da forte competitività. Da piccolo aveva sofferto di un rachitismo che lo aveva limitato nelle sue attività fisiche e che lo condizionò molto psicologicamente e socialmente. Visse inoltre un lutto precoce, perse il suo fratellino più piccolo che gli dormiva accanto al letto. Queste esperienze lo portarono a scegliere la professione di medico e a teorizzare l’importanza della costellazione familiare, cioè la posizione di nascita del bambino rispetto ai fratelli perché da questi rapporti si può comprendere il carattere e il personale stile di vita di un individuo.
La nostra personalità quindi è anche il prodotto delle prime relazioni che instauriamo con le persone per noi significative; l'uomo perciò non può essere compreso se non viene osservato all'interno del contesto sociale con il quale interagisce e la prima esperienza di socializzazione viene vissuta in famiglia con i genitori, i fratelli e le sorelle. Un buon rapporto con loro è indispensabile per mantenere in equilibrio la propria individualità, così come un forte senso di competitività è indispensabile per superare il complesso di inferiorità con cui nasciamo.
Gli studi sui rapporti tra fratelli e l’influenza sulla strutturazione della personalità individuale vengono però trascurati sia dalla psichiatria che dalla psicologia dell’età evolutiva. Soltanto dopo gli anni ‘90 si riprendono le ricerche su questo tema ed emergono nuove prospettive basate sulle potenzialità positive di un buon rapporto fraterno.
Nel prossimo articolo vedremo ancora come i rapporti tra fratelli influenzino la nostra vita adulta, relazionale e sentimentale.