Space Cowboy - InEsergo

Title
Vai ai contenuti
ARTICOLI MENO RECENTI

Capitano, mio Capitano

Educazione, ribellione e ricerca del Sè attraverso l'arte e la natura

The Old Oak

Il canto del cigno

Manichini

L'amore oltre il vetro

Quanno chiove (a Dubai)

Tra magia bianca e collaborazioni controverse

E' naturale la vita?

Riflessioni attorno a una favola in musica per il Pianeta Terra

Concerto mistico

Battiato vive: un viaggio musicale tra spiritualità e misticismo

La ferita da ingiustizia

La quinta ferita evolutiva

Attentato di Mosca: Isis o false flag?

Dietro le quinte del terrore

Fuori dalla gabbia della mente

La mindfulness come via per la guarigione e la realizzazione

Ponte Morandi: la verità è un anelito a prezzo di costo

Genova vuole credere nella giustizia. Genova vuole rispetto per i suoi morti. Genova chiede la Verità.
05 Luglio 2024 - Storie

Un'odissea post-apocalittica

Space Cowboy
  
PARTENZA
Piano terra, primo piano, secondo piano, terzo piano. L’avrò chiuso il gas? Chi se ne importa - mi rispondo - non c’è pericolo, non c’è più alcun pericolo.
 
Quarto piano, quinto piano. Chissà perché tra un piano e l’altro passa tutto questo tempo. Eppure, da fuori sembrava tutto molto più stretto, molto più piegato su se stesso.
 
Sesto piano, settimo piano. Il cielo è grigio, pieno di nuvole, sembra una lamina d’acciaio. Sembra tutto dello stesso colore, a volte, ma dopo il disastro lo sembra ancora di più, sembriamo tutti uguali, la copia della stessa identica persona ma di altezze diverse, e non è una polemica contro la moda che ci rende tutti uguali: sono i respiratori che dobbiamo indossare. Sembriamo tutti dei cosplay dei Daft Punk, me li ricordo i Daft Punk. Era un sacco di tempo fa.
 
Ottavo piano, nono piano. La radio gracchia, al centro di controllo ci saranno sí e no sei persone; sono partiti tutti: chi se lo poteva permettere è andato via, scappando mentre tutto naufragava e si piegava creando forme curiose e facilmente equivocabili, proprio come fanno le nuvole, o per meglio dire come facevano le nuvole.
 
La torre sta per finire, sto arrivando alla piattaforma di lancio. Cinquantacinque anni luce sono un sacco di tempo. Il mondo andrà avanti senza di me, come ha sempre brillantemente fatto d’altronde. Non sono mai stato un tipo notevole, mi sono salvato perché mi so nascondere, respiro poco, mangio poco e forse ho visto qualche film di troppo su come sopravvivere all’apocalisse, anzi, ora che ci penso ho proprio letto il libro “Come sopravvivere all’apocalisse”. Ironia della sorte: l’autore fu uno dei primi a morire.
 
Tutta l’ironia che si faceva per nascondere la paura, i talk show ironici, i pezzi comici, la stand-up comedy, alcuni scienziati, i geni sotto chetamina, loro sono stati i primi a partire lasciando indietro chi non aveva capito bene, chi non aveva gli strumenti per comprendere la loro ironia, chi aveva una paura fottuta e chi come me non aveva idea di quello che stava per succedere.
 
Poi di colpo si fece mezzanotte. E molti si misero anche a pregare.
 
Nono piano, decimo piano, undicesimo, dodicesimo piano.
 
Cazzo se pregavano, si misero tutti a pregare, vicini gli uni agli altri, quasi come se volessero usare il vicino di preghiera come amplificatore di supplica: tutti pregavano e se ne fregavano di quale Dio stavano pregando. Quando di colpo cala la notte e tutto si ferma, i vulcani esplodono e la terra letteralmente si blocca e si mette a galleggiare inerte nello spazio, di certo non stai lì a scegliere quale Dio pregare - disse un certo Arcivescovo alla TV in un programma in cui qualcuno ancora si ostinava a spiegarci che nella carbonara ci va il guanciale, come se realmente avesse importanza.
 
Eccomi al tredicesimo piano, se guardo giù ho i brividi, non sapevo nemmeno di soffrire di vertigini, adesso lo so, non si finisce mai di imparare.
 
Le operazioni di partenza sono semplici, sarebbe bello avere una foto di mia moglie da mettere sulla console, proprio vicino alla cloche dei comandi, ma non ho una moglie e non ho nemmeno i comandi, sono come la cagnolina che avevano sparato nello spazio, mi sembra si chiamasse Laika. O come quella scimmia che non è più tornata indietro e si dice sia diventata una specie di Creatore in qualche altra galassia.
 
Sono sacrificabile, sono l’unico rimasto, ho vinto un concorso per abbandono degli avversari, sono una specie di Steven Bradbury in mezzo all’apocalisse e dovrò salvare quei pochi che sono rimasti indietro.
 
Il mio compito è semplice: dovrò atterrare su un pianeta, provare a respirare, piantare una bandiera e chiamare gli altri. Tutto qua, semplice, lineare, un piano facile da ricordare.
 
Il countdown è come nei film, mi piacerebbe pregare, ma mi viene solo da canticchiare una vecchia canzone pop, poco ispirato, poco ispirante.
 
Il razzo parte: mi sento come una nocciolina dentro un barattolo, dovrei indurmi il sonno, praticamente congelarmi, ma non mi va, mi va di guardare le stelle, un po’ ispirato, magari ispirante, sicuramente poco professionale.
 
Perdo tempo che non ho, spreco tempo che non avrò indietro, del resto è così con il tempo, qualsiasi cosa fai una buona parte andrà comunque sprecata.
 
Magari provo a dormire.
 
Sirene, lampeggianti, segnali di allarme: qualcosa di sicuro è andato storto. È esattamente come tutti i film che ho visto, è esattamente come quando pensi «Ma proprio a me deve andare male?». Si, proprio a te.
 
Durante i complessi calcoli lo scienziato, che a suo dire era infallibile (e magari lo era anche) non ha calcolato una piccola discriminante; in un quadrante pressoché sconosciuto si è trovato a passare un asteroide, un sassolino, un brufolo, e su questo brufolo il mio razzo è andato a sbattere, come quel vecchio film di Méliès. Ironico. Anni di evoluzione ed è finito tutto come un film degli anni ‘20.
 
L’universo sa essere ironico e a tratti tragicomico: l’universo è Charlie Chaplin.
 
DERIVA
Sono letteralmente seduto su un sasso piccolo, che sta adagiato sopra un sasso più grande, sperduto in un universo silenzioso fatto di nebulose e buchi neri; sto guardando ogni cosa e mi sento piccolo in mezzo a tutto questo buio. Lo sapevamo tutti che poteva andare male, ma di certo non sapevamo che sarebbe andata così male.

Sono alla deriva su un sasso, devo trovare una posa quantomeno degna per quando qualcuno mi troverà, perché qualcuno sicuramente mi troverà, prima o poi.

L’universo avrà una sponda, no? Da qualche parte prima o poi andrò a sbattere, ne sono certo. Più o meno.

Non so orientarmi bene. Il dottor Smith (sì, c’è sempre un dottor Smith) mi aveva detto che il pianeta prescelto si trovava vicino ad una costellazione dalla quale avevamo ricevuto dei segnali, noi schiavi della nostra perversione di doverci sentire per forza speciali avevamo deciso che quella costellazione fosse Dio e che quel Dio ci stesse dando un’altra speranza, l’ennesima.

Per fortuna non dovrò dire al Dottor Smith che aveva torto o che perlomeno i piani di Dio erano un po’ diversi. Ho il lettore musicale, poca batteria e non so quanto ossigeno.

Comunque, la vista è bellissima. Bisogna godere anche e soprattutto delle piccole cose, questa me la disse mia nonna quando avevo otto anni.


Torna ai contenuti