16 Maggio 2021 - Storie
Un uomo, poco influenzato dal mondo, scelse di possedere solo il presente dei suoi passi. Un altro, troppo influenzato dal mondo, intuisce a modo suo la straniante vastità del presente
Quasi illeggibile
“Camminare è inutile come tutte le attività essenziali. Atto superfluo e gratuito, non porta a niente se non a se stessi, dopo innumerevoli deviazioni”
David Le Breton
Un uomo s’inerpica con scarpe pesanti e passo leggero sul pendio che in cima svelerà l’abbraccio ruvido delle Alpi.
Conosce bene il sentiero, ora ammorbidito da quella luna grattugiata che è la neve, e in questo come in ogni suo peregrinare quotidiano, si può immaginare un discreto sorriso mentre si gode l’unica cosa che davvero possiede: il presente dei suoi passi.
È il giorno di Natale del 1956 e l’uomo, all’anagrafe Robert Walser, scrittore e poeta dell’assenza, è ormai un puntino scuro che procede sicuro nel bianco ovattato dell’amato elvetico inverno.
Sessantacinque anni dopo, nel dehor di un Caffè mediterraneo, un altro uomo (che chiameremo per comodità “il Lettore”) sfoglia per la terza volta il saggio “Camminare - elogio dei sentieri e della lentezza” dell’antropologo e sociologo David Le Breton (Edizioni dei Cammini, 2015).
Il Lettore è avvezzo al cammino e alla rilettura, che è a tutti gli effetti un ritorno nel proprio luogo dell’anima, dove i sensi si aprono alla scoperta del ricordo.
Questa terza rilettura ha però qualcosa di insolito: l’abbandono del rigido schema mentale di iniziare dall’inizio e finire alla fine. Si apre una pagina a caso, si parte da un punto qualsiasi, si leggono solo alcune righe, si chiude il libro. Come un frammento di discorso ascoltato per strada.
È solo un gioco, un diversivo abbastanza comune, ma per lui è anche e soprattutto un esercizio di presenza.
Per chi vive la quotidianità (e quindi la vita) come un moto rettilineo uniforme, isolare un dettaglio, lasciarlo decantare, riconoscerne il valore, significa saltare giù dal treno in movimento.
Ma non preoccuparti è difficile farsi male, il convoglio è italiano e va così piano nel nulla di una campagna assolata, da affiancare il claudicare svogliato di un cane randagio: lavori sulla linea, motrice ingolfata, si va a passo d’uomo. Quindi roboante, rotolante e alquanto inutile è stato il volo hollywoodiano del Lettore, che annaspa ora tra le ortiche. Dietro le cataratte dei finestrini, occhi a mezz’asta di pendolari inconsapevoli lo squadrano con assonnata perplessità.
Il randagio lo annusa e sbadiglia.
Anche il Lettore sbadiglia perché la lunga biscia di ferraglia impiega un’eternità a lasciarlo solo.
solo con se stesso
nell’apparente nulla cosmico
il cane piscia
“Oibò, che ho detto?!” singulta il Lettore sorpreso dall’irriverenza dell’haiku, forse un altro scherzo della mente libera dalla rigidità. Mentre il suo ego disorientato, senza più destinazione, impreca nel tentativo di riordinare i fogli sparsi della sua impegnatissima sceneggiatura.
• Vuoi una mano?
• No no, è impossibile, sono volati dappertutto.
• Mi spiace.
• Stai zitto! É colpa tua! Perché sei saltato giù? Dovevi seguire il copione e scendere alla fermata programmata!
• Non so, mi è venuto spontaneo…
• Il mio film è rovinato ed è tutta colpa tua! Anzi è colpa mia che continuo a credere in attorucoli come te. Avevo un sacco di cose interessanti da dire, altro che il tuo cane che piscia!
• Beh, allora vado.
• No, non puoi. Sei il mio unico interprete.
• E allora?
• E allora facciamo finta di niente. Tu sei ancora sul treno e scenderai alle fermate consuete.
• Ora sono qui, in questa campagna assolata, non posso essere in due posti nello stesso istante.
• Ma tu sei un attore! Fingi, come al solito.
• L’hai detto tu che sono un attore.
• Certo che lo sei. Conosci il significato del termine “persona”?
• No.
• Maschera. E in quanto persona tu sei una maschera, quindi un attore.
• Posso dire la mia?
• La tua la dico io, da sempre.
Il silenzio che cala tra i due (due?) è l’assordante cicaleccio del meriggio.
Il Lettore, occhi negli occhi col suo ego, per la prima volta non abbassa lo sguardo.
Il randagio passa accanto, si gratta beato e raggiunge un rovere. Annusa la base del tronco per poi infilarsi in uno stretto pertugio e scomparire.
Il Lettore incuriosito lo segue, trova il buco nel tronco, ci entra a fatica, perde l'equilibrio e... oplà... dopo una caduta infinita si ritrova seduto nel dehor del Caffè mediterraneo.
Grazie al gioco del dettaglio, il breve passo del libro di Le Breton ha canalizzato per la prima volta (alla terza rilettura) la sua totale attenzione, immersa nell’avanzare di Robert Walser nella neve.
La curiosità lo induce a cercare altrove qualche informazione in più su quel tale che bussava con randagia svogliatezza alla porta della vita e che esortava le persone sane a leggere anche un po’ di letteratura cosiddetta patologica, giusto per rischiare un po’. Dopotutto “a che scopo essere sani? Solo per schiattare un bel giorno di troppa sanità?”
Scavando a fondo ci si accorge che tutte le informazioni “in più” corrispondono a un “meno” sul modus vivendi dello scrittore svizzero.
“Non giunse mai a stabilirsi da nessuna parte, mai poté disporre di qualcosa di suo, fosse pure l’oggetto più insignificante”
Winfried Sebald
“Provava un doloroso bisogno di appartenere a qualcuno, come un servo, o un cane, o una cosa (ma) sperava che la sua dedizione non fosse corrisposta, […] perché essere abbandonati non ha forse un suono morbido, carezzevole e benefico?”
Pietro Citati
“Passeggiare ininterrottamente era il ritmo interiore del suo spirito”
Pietro Citati
“Non dimenticherò mai quella mattina d’autunno in cui Walser e io passeggiammo […]. Gli dissi che la sua opera sarebbe forse durata quanto quella di Gottfried Keller. Si fermò come se avesse messo radici nel terreno, mi guardò con somma gravità e mi disse che, se avevo a cuore la sua amicizia, non me ne uscissi mai più con simili complimenti. Lui, Robert Walser, era una nullità e voleva essere dimenticato.”
Carl Seelig
“Nessuno ha il diritto di comportarsi con me come se mi conoscesse”
Robert Walser
Sempre più allergico a ogni maschera di compromesso col mondo e nonostante i sinceri apprezzamenti di Kafka, Musil, Hesse, a un certo punto della sua vita smise l’attività letteraria. O così si pensò. In realtà e in totale riservatezza, continuò per anni il suo processo di riduzione, di assenza, rendendo la sua grafia sempre più minuta, lillipuziana, puntini scuri che procedono nel bianco sporco di 526 fogli di carta riciclata: “I Microgrammi”, illeggibili ad occhio nudo.
“Perché Robert?” Si chiede il Lettore. “Volevi sublimare il processo creativo? Era forse la tua malattia o un tentativo di disarmare l’ego? Oppure era il paradossale colpo di coda di un ego che voleva farsi scoprire attirando l’attrazione per tutto ciò che è celato, misterioso, apparentemente incomprensibile. Dopotutto l’uomo è un animale sociale”