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17 Febbraio 2025 - Storie

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Perchè bevo
  
Perché bevo? L'ho dimenticato. E perché l'ho dimenticato? Perché bevo. Sì, lo so, è una citazione di qualcuno, qualcun altro l'ha detto prima di me, ma se è per questo non sono mica il primo che beve e non sa perché, e di certo, credetemi, non sarò l'ultimo.

Qui, all'angolo della strada principale di una città come tante altre. Tutti sanno che bevo, le debolezze non ci mettono niente a diventare famose, non sia mai che qualcuno non usi qualcosa contro di te. Quando bevo abbastanza divento divertente, racconto un sacco di storie, divento uno che doveva giocare in Premier League ma poi, sai, il ginocchio. Divento un reduce di guerra. La storia del reduce di guerra è bellissima, è anche facile da credere per via del bastone. Me lo ricordo questo vecchio bastone, è con me dal periodo in cui nemmeno mi serviva, è stato una specie di investimento. Io nemmeno l'ho vista la guerra, nemmeno in TV, non ho mai avuto i soldi per comprarmi una TV, li ho investiti tutti in altro.

Perché bevo? E chi se lo ricorda. Hemingway sosteneva che fosse necessario per sopravvivere in mezzo agli stupidi. Può darsi. Chi sono io per dare torto a Hemingway?

Quel mercoledì non avevo nemmeno bevuto tantissimo, ero al solito angolo a non fare niente ma con una certa classe, guardavo la ragazza nuova che lavora alla caffetteria, una gran bella ragazza. Per un paio di minuti la mia testa ha iniziato a vagare e a pensare: "Se solo avessi cinquant’anni di meno, se non fossi zoppo, se fossimo in un romanzo, se non puzzassi di alcool e vomito, se non avessi le pulci...". Il problema grosso è che ho troppo tempo per pensare, e quella ragazza era davvero carina, non meritava di stare nei miei pensieri, i miei pensieri sono un posto brutto, uno di quei posti brutti in cui se passi ti penti di esserti portato l'orologio che ti ha regalato tuo padre.

Ma torniamo al punto. Non avevo bevuto troppo quel giorno e zoppicavo, ma mi ero stancato di zoppicare, sono troppo suggestivo quando zoppico, i ragazzini stronzi mi fotografano e mi mettono su Instagram credendosi McCurry o Lubezki. Non gli darò questa possibilità, ci ho messo una vita a diventare bravo a zoppicare, non mi posso certo svendere così.

Mentre stavo seduto a centellinare l'ultima goccia di vino rosso del discount si avvicina un tizio in giacca e cravatta, aveva la mia età ma aveva tutti i denti, un anello, un orologio costoso e l'aria di uno che aveva fatto pochi errori nella vita e comunque quelli che aveva fatto o non erano gravi o erano sotto tonnellate di sabbia. Si inginocchia davanti a me: bel gesto, magari un po' teatrale ma bello, e poi inizia a dirmi che mi aveva notato, che era il proprietario del grande negozio di giocattoli sul marciapiede di fronte, e mi chiede se per Natale mi sarebbe andato di essere il loro Babbo Natale, in cambio mi avrebbe offerto un posto dove dormire, una doccia e tre pasti al giorno, più qualcosa per comprarmi da bere. Su quest'ultima affermazione ha poi detto: "So bene che i vizi vanno coltivati, non le sto chiedendo di diventare migliore, solo di essere Babbo Natale per qualche giorno".

In fondo che ne sappiamo se Babbo Natale beva? Ha un'età indefinibile, è giudicante, guida una slitta e lavora una sera l'anno: o beve o si gioca grosse somme a poker online. È evidente.
La doccia è il metro della civiltà, più te ne fai migliore ti senti, è tipo un ascensore sociale, ti innalza, ti fa stare meglio. Io di sicuro mi sono sentito meglio dopo averne fatta una. Dopo tre doppi whisky, poi, credetemi, stavo una meraviglia.

Di fronte a me c'era una pletora di bambini, urlavano tutti, i bambini non hanno il tasto del volume, poco ma sicuro. I doppi whisky erano diventati sei, si erano dimenticati di dirmi di non esagerare. Mai dare per scontato, mai dimenticarsi di precisare, mai e poi mai, soprattutto con me, ma loro che ne sapevano? I bambini urlavano e i genitori fotografavano, io non avevo idea di cosa facessi lì, era come se fossi dentro una tuta da palombaro, e ogni tanto buttavo l'occhio sulla ragazza vestita da elfo, se avessi cinquant’anni di meno, se non fossi un ubriacone, se fossi ricco... Le pulci vanno via con la doccia? Non distrarti Frank, stai lavorando, non meriti pensieri concilianti, hai le pupille divergenti, sembri Marty Feldman.

Il bambino che ho in braccio ha le orecchie davvero a sventola, le più a sventola che io abbia mai visto e blatera di certi robot e certi apparecchi che non sono orologi ma è come se lo fossero.

A volte le cose succedono, a volte come un fulmine la tua vita cambia e un bel gesto può farti diventare migliore, si chiamano sliding doors, si chiamano opportunità, si chiamano così, ma chi le ha mai viste? Anche stavolta cambiamo vita la prossima volta, ho pensato, mentre un fiotto di vomito caldo come una bella minestra si abbatteva sull'orecchio sinistro del povero bambino che pretendeva orologi che non erano orologi, un bel fiotto caldo e natalizio, un bel fiotto che sapeva di addio, una cascata di succhi gastrici e bile che significava "Anche stavolta cambiamo vita la prossima volta".

Perché bevo? Perché non voglio raccontare niente, perché non voglio figli e nipoti a cui narrare gesta coraggiose che non ho mai compiuto, perché non c'è una generazione per cui io potrò essere migliore, perché, se giocassimo a perdere, nemmeno lì sarei capace di vincere, è molto facile che riuscirei ad arrivare primo in una gara dove vince chi arriva per ultimo.

Perché bevo? Perché Babbo Natale beve, perché la Regina Elisabetta beveva, anche Winston Churchill, Hemingway beveva, Raymond Carver beveva, Modigliani beveva, anche Caravaggio beveva, Gesù beveva, ma non troppo perché era Gesù, nessuno di noi è Gesù, nessuno di noi ha il senso della misura. In buona sostanza bevo perché non conosco altri modi e se li conoscevo, sicuramente li ho dimenticati.

Perché bevo? L'ho dimenticato. E perché l'ho dimenticato? Perché bevo. Sì, lo so, è una citazione di qualcuno, qualcun altro l'ha detto prima di me, ma se è per questo non sono mica il primo che beve e non sa perché e di certo, credetemi, non sarò l'ultimo.


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