14 Aprile 2021 - Storie
"Invecchiando si perdono molte cose che, prima, ignoravamo di avere" (Carlo Gragnani)
Paolina
Potevano essere le tre, tre e un quarto, e ancora non avevo mangiato. Ero rientrato da poco, praticamente barcollando, e mi ero buttato sul letto così com’ero, scarpe comprese. Da lì, con un occhio sonnolento alla cucina, stavo pensando a quanto siamo complicati noi umani, con le nostre pretese da chef della porta accanto; quanto in generale la nostra vita sia complicata di minuto in minuto da mille operazioni banali e necessarie; banali perché necessarie. Intanto lentamente cominciavo a mettere a fuoco una macchia lucida che si allargava sul pavimento esattamente sotto il lavandino.
Balzai in piedi e andai a controllare. Eccola qui, la banalità: il sacchetto dell’umido che perde liquidi nauseabondi fuori dal suo secchiello spaccato. Mi toccava uscire di nuovo. Avvolsi tutto quanto in un sacchettone imbottito di carta assorbente, chiusi ermeticamente il pacchetto e scesi per le scale in direzione dei cassonetti. Nell’androne trovai una signora attempata, dall’aria non troppo distinta, anzi prosaica. Stava evidentemente per prendere l’ascensore. Benché avessi in mano la spazzatura e non fossi dell’umore, la salutai, perché non capita spesso di incontrare gente nel mio palazzo.
“Buonasera”. E volevo avviarmi all’uscita.
"Buonasera a lei. Senta, da voi l’acqua c’è?"
"Guardi, non saprei, non ho controllato da quando sono tornato. Questa mattina comunque c’era."
"Sì, sì, stamattina sì, ma ora manca a tutti qua vicino."
"Mi scusi, lei a che piano abita?"
"No, io abito al 18. Siamo tutti senz’acqua. Lei conosce Paolina?"
"No, veramente, sono arrivato nel palazzo da pochi mesi."
“È una signora che sta qui, in alto. Sto andando da lei."
"Senta, io vado a buttare la spazzatura. Appena torno saliamo insieme e controlliamo se l’acqua da me c’è. La trovo qui?"
La signora non rispose subito e ne approfittai per svincolarmi. Dopo un minuto, ero di nuovo lì, ma la signora non c’era più. L’ascensore però adesso era occupato e saliva. Mi toccava anche prendere le scale!
Ero arrivato più o meno a metà strada (abito al quarto piano), quando si sentì suonare a lungo un campanello, poi grida, grida di allarme, di disperazione. Accelerai immediatamente. Giunto sul pianerottolo, ritrovai la signora di prima che picchiava alla mia porta e gridava "Paolina, apri! Paolina, stai bene?"
"Signora, che sta facendo, mi scusi?"
"Ho suonato, ho bussato, ma non mi risponde. Lei sta a questo piano?"
"Signora, io sto proprio lì dove sta bussando lei. Ma chi cerca?"
"Chi cerco? La signora Paolina, la mia amica. Ma non risponde."
"Ma, signora, quella è casa mia! Comunque, ora apro e vediamo se l’acqua c’è, così non ha neanche bisogno di chiedere alla signora. Venga", dissi, aprendo la porta.
Arrivai al rubinetto più vicino, quello della cucina.
"Vede? L’acqua qui c’è. Sarà un problema del vostro palazzo soltanto. Non so chi dovete chiamare, mi dispiace", dissi mentre la accompagnavo sulla soglia. La signora taceva, sembrava in un mondo tutto suo.
“Allora la saluto, signora, arrivederci”.
E lei sembrò risvegliarsi. “Un momento! Quando torna Paolina?”
“Signora, le ho detto che non abita qui. Qui abito io, avrà sbagliato casa.”
Poi mi venne uno scrupolo di coscienza. "Senta, ma lei è sicura che questa sua amica abiti a questo piano? Se mi dice il cognome, controlliamo i campanelli."
"Ma non mi prenda in giro! Sono vecchia, ma non rincretinita!" disse quasi urlando. “Se non mi dice dov’è, chiamo i carabinieri!”
Dovetti inventarmi che ero il nipote e che al momento la nonna era fuori per commissioni. Solo allora la signora cominciò a tranquillizzarsi, anzi diventò loquace: alla fine della conversazione, sapevo molti fatti privati di questa povera signora sua amica.
“Va bene, allora torno domani? La trovo?”
“Signora, guardi, torni tra una settimana, perché la nonna starà un po’ a casa di mio zio”.
“Ma perché, sta male Paolina?”
“No, signora, anzi! È che lo zio fa il compleanno e, sa com’è, il figlio maschio... Insomma, già che esce una volta, meglio se stanno insieme un po’ di tempo, no?”
“Ah, certo! Eh, fa benissimo! Avessi io tutti i figli e nipoti che ha lei! Allora arrivederci!”
“Arrivederci”.
Mentre spariva dentro l’ascensore, pensai che fossi in un bel guaio.
Nei giorni seguenti, andai dai vicini di pianerottolo. Spiegai la situazione, mi dissero che in effetti sì, il mio appartamento era di un’anziana signora, ma era già da qualche mese che non la vedevano. Forse, se fossi riuscito a contattare il proprietario, sarei venuto a capo della situazione.
Ma non fu facile. Chiamai l’agenzia per farmi dare il numero, ma mi dissero che abitava lontano e della casa non intendeva occuparsi, né tantomeno avere grane con gli inquilini. Un giorno, però, insistendo, al telefono trovai un’altra voce. Costui mi diede il numero, chiedendomi però di non farne parola. E mi spiegò come stavano le cose.
L’anziana madre del proprietario abitava fino a pochi mesi prima proprio nel mio appartamento. Poi la sua salute si era aggravata e i figli l’avevano affidata a una casa di riposo. Il figlio, con l’andare del tempo, aveva deciso di affittare la casa. Perciò si era rivolto alla loro agenzia.
“Quando andammo a parlarci per convincerla, fu una pena. La signora continuava a dire che prima o poi sarebbe uscita di lì e che sarebbe tornata a casa sua. Il figlio taceva e guardava noi, come a dire fate il vostro lavoro e convincetela. Al mio socio questo non provocò grandi problemi, a me sì. Il lavoro è lavoro; comunque, decida lei adesso che fare, ma si tenga tutto per sé, mi raccomando”.
“Ho capito. Senta, in che casa di riposo è la signora Paolina?”
“Chi, scusi?”
“La signora... non si chiama Paolina?”
“No, si chiama Gabriella.”
“Forse ha un secondo nome.”
“Guardi, no, è sicuro, lo abbiamo qui sulle carte.”
Dovevo incontrare questa signora, si chiamasse Paolina o Gabriella o Pincopallina. Provai a chiamare il figlio, ovviamente, ma appena seppe chi ero si infastidì e cominciò a chiedermi come avessi il suo numero. Gli chiusi il telefono in faccia. Passarono due mesi nei quali quasi dimenticai la faccenda, finché tornò a bussare alla mia porta la signora del numero 18. La trovai assai peggiorata. Aveva detto di chiamarsi Rosa, ma ora non sapeva dire bene se fosse proprio Rosa o piuttosto Rossella o Maria Rosa. Di Paolina, però, si ricordava ancora benissimo. Prima di affastellare altre scuse e rimandi, un po’ per pietà della signora e un po’ anche per il risentimento nei confronti del mio proprietario di casa, le dissi la verità: che stava male e si trovava nella casa di riposo Gabasso.
Ricordo l’espressione che fece. Era davvero disperata.
“Signora, facciamo così. La accompagno io.” E andammo.
Arrivati sul posto, mi resi conto che non sapevo davvero come saremmo entrati. “Signora, mi sa che abbiamo fatto il viaggio a vuoto. Penso che siamo fuori dall’orario delle visite” mentii. “Sta scherzando? E lei lascia così sua nonna da sola senza neanche tentare? Ci penso io”. Fuori dalla macchina pioveva a dirotto. La signora aprì lo sportello e si precipitò in portineria. Le andai dietro di corsa e riuscii a raggiungerla prima che parlasse col portiere.
“Senta, siamo venuti a trovare la signora Gabriella Toschi. Io sono il nipote e lei è la sorella.” dissi io.
“Che volete da lei?” disse una voce dietro il portiere. “Ormai non c’è più niente da fare”.
“Che dice?!” gridò la signora Rosa-Maria Rosa. “Fatemela vedere”.
Il signore che aveva parlato, che era poi quel figlio di cui mi aveva parlato il tipo dell’agenzia, si alzò in piedi, si avvicinò e sembrò riconoscerla.
“Anche qui, signora Rossella? Ancora?” disse esasperato. Ma poi si rassegnò: “Venite, dai, ormai non è più importante”.
Attraversammo i corridoi dell’ospizio fino alla rianimazione. La signora Rossella-Rosa-Maria Rosa si inginocchiò al letto della malata, che non poteva riconoscerla, né vederla, né avere coscienza di vivere ancora. Io e il figlio eravamo sulla porta, a distanza. Mi veniva difficile trattenere le lacrime.
“Questa signora, Rossella, ha perseguitato mia madre per anni scambiandola per questa sua amica Paolina che nessuno ha mai visto” disse lui all’improvviso. “Mia madre le dava pure corda e le visite si erano fatte anche più frequenti. Una situazione insostenibile.”
“Eppure a me la signora ha raccontato dei fatti, ricordi di esperienze che hanno vissuto insieme.”
“Li ho sentiti anch’io, ma non c’è niente che corrisponda. Hanno vissuto proprio due vite diverse”.
“Paolina, Paolina...” mormorava in ginocchio la signora, piangendo.