Niente di nuovo sul fronte occidentale
“Perdonami, compagno, come potevi essere tu mio nemico? […] Prenditi vent’anni della mia vita, compagno, e alzati; prendine di più, perché io non so cosa ne potrò mai fare”.
E.M. Remarque
Poche settimane fa, in occasione del Toronto International Film Festival (dopo quello di Cannes, il più prestigioso festival cinematografico mondiale) è stato proiettato il film Niente di Nuovo sul Fronte Occidentale (titolo originale: “Im Westen nichts Neues”) di Edward Berger, regista tedesco classe 1970.
Il film, trasposizione dell’omonimo romanzo del 1928 di Erich Maria Remarque (1898 – 1970) e disponibile sulla piattaforma Netflix a partire dal 28 ottobre prossimo, è un’occasione da non lasciarsi sfuggire sia per (ri)scoprire questa straordinaria opera dell’autore tedesco, sia per ragionare sulla sua sorprendente attualità.
Senza voler spoilerarne la trama, basti qui sottolineare il carattere autobiografico del libro: Remarque infatti, come accade ai quattro amici protagonisti, fu reclutato per combattere nelle trincee della Grande Guerra, giungendo, ahilui, nell’estate del 1917 nel mattatoio delle Fiandre, teatro delle più grandi carneficine belliche della Storia Contemporanea (tra le altre, quella della Somme e di Passchendaele).
Le descrizioni di Remarque della Guerra, “macchina di morte” che divora vincitori e vinti, sono uniche: ci portano pancia a terra nel fango dei campi di battaglia e lì il lettore sarà a contatto, senza filtri, con l’orrore del conflitto. In mezzo al vomito e agli escrementi, potrà quasi respirare l’odore acre dei corpi bruciati e gasati, sentire il sapore del sangue degli arti strappati e delle viscere fuoriuscite cogliendo, seppur in minima parte, il puro terrore di quei giovani ragazzi che, con consapevolezza, stanno per morire.
I “CATTIVI MAESTRI” DELLA ‘BELLA MORTE’
Paul Bäumer e i suoi compagni, appena diciannovenni, si arruolano con fervore nell’esercito tedesco. Questo loro slancio emotivo è dettato dalle filippiche dei propri insegnanti del Liceo, “Cattivi Maestri” che, imbevendoli di enfatico sentimento patriottico, inculcano loro i vacui concetti di Eroismo, Onore e Servizio allo Stato, nonché quell’idea di bella morte che, dalla Grecia Antica, è stata ampiamente trattata nel corso dei secoli dalla Filosofia e dalla Letteratura.
Anche qui in Italia abbiamo avuto intellettuali che l’hanno cantata ed evocata, e proprio negli anni della Prima Guerra Mondiale (si pensi al D’Annunzio del 1915 che arringava le folle per l’entrata in guerra dell’Italia facendo riferimento a Garibaldi e ai suoi Mille che si partivano ebbri di bella morte verso Palermo).
La tagline del trailer del film di Berger (“For death is not an adventure for those who stand face to face with it”) ha il pregio di riprendere proprio questo concetto chiave del libro: la Morte non è un’avventura, non è qualcosa a cui tendere, a cui aspirare. Il morire sul campo di battaglia non è un atto di eroismo, non verrà eternato nei libri e nelle poesie degli scrittori e dei poeti rimasti a casa. Per i caduti in battaglia non rimarrà che il pianto e l’impotente disperazione dei propri cari a cui non si è riusciti a dire addio.
E anche chi avesse la casuale fortuna di non morire e ritornare alle proprie famiglie (com’era successo allo stesso Remarque), avrà comunque la vita devastata. Lo scrittore tedesco infatti sottolinea a più riprese come la Guerra, nel cancellare l’innocenza individuale, distrugga di fatto anche i sogni e le aspirazioni di chi la vive.
Il reduce è un “vecchio”, una sorta di zombie condannato a passare il resto dei suoi giorni sradicato dalla vita, segnato per sempre dagli orrori vissuti e dalle visioni dei propri amici e compagni morti nei modi più atroci (gasati, bruciati, trafitti, smembrati, annegati o schiacciati dai cingoli di un carro armato). Ognuno di loro un universo di possibilità stroncato sul nascere.
E.M. REMARQUE NEL 2022
Crediamo che la potenza del libro di Remarque (una potenza che, ci auguriamo, venga trasmessa anche dal film di Berger) sia ancor più significativa in questo 2022, segnato, in particolare per noi europei, dal conflitto che si sta svolgendo in Ucraina. Questo perché, dopo una prima fase in cui i media battevano l’accento, giustamente, sui civili e sulla catastrofe umanitaria ad essi collegata (e, quindi, l’aspetto dis-umano del conflitto veniva posto davanti a tutto il resto), da mesi a questa parte ormai la narrazione si è spostata essenzialmente sulle conseguenze indirette della guerra: quelle sul nostro stile di vita. In particolare sul caro-energia e sul suo impatto per le nostre aziende e per il potere d’acquisto di stipendi e pensioni, vieppiù eroso dalla crisi energetica.
Tant’è che questo è stato anche l’argomento più dibattuto, e strumentalmente cavalcato, dai partiti italiani durante la penosa campagna elettorale conclusasi lo scorso mese.
Per carità, problemi reali e drammatici ma, oggi, in questa sede vorremmo cogliere l’occasione donataci dalla Settima Arte, per spostare il focus, nonostante quella in Ucraina non sia la stessa cosa della guerra di trincea di centocinque anni fa raccontata da Remarque attraverso gli occhi del soldatino Paul Bäumer.
Il monito veicolato da Niente di Nuovo sul Fronte Occidentale, però, lo vogliamo leggere come uno strumento potenziale per riportare in primo piano, nel dibattito pubblico, proprio la necessità della Pace (parola, da mesi, quasi del tutto bandita sul topic ucraino). Pace che è innanzitutto un obbligo verso quei giovani che, mandati a combattere dai propri governanti, stanno distruggendo l’altrui vita. E con essa, la propria.
Così come quelli di Remarque, anche i morti in Ucraina non verranno ricordati né nei reportage dei giornalisti né negli aridi e stringati bollettini di guerra. Essi, incuranti dei corpi distesi a terra, delle vite stroncate in ogni giorno di conflitto, continueranno a recitare con spietata freddezza il loro niente di nuovo sul fronte occidentale.