Michael - InEsergo

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26 Giugno 2022 - Storie

Noie e dolori di un giovane demiurgo
 
Michael
 
Non dormiva. Ormai non dormiva più come prima. Quando vennero a chiamarlo, alla solita ora, aveva gli occhi spalancati nel buio, su un fianco, di fronte alla parete d'acciaio.

Li aveva sentiti avvicinarsi progressivamente, poi erano entrati nella stanza e si erano fermati a pochi metri da lui. "Signore, sono le tre e mezzo" dissero. "Bene. Ci sono" rispose senza muoversi dalla sua posizione. Gli assistenti rimasero per un attimo interdetti, poi capirono il messaggio e lo lasciarono da solo a prepararsi. Poco dopo lo videro uscire, mentre ancora si aggiustava il camice. Aveva un'espressione esausta, ma le sue movenze erano energiche come sempre. "Allora, qualcosa da segnalare? Come procede la notte?". Gli assistenti erano impassibili. "Procede bene, signore. Niente di rilevante." "Bene" mormorò lui. "Andiamo". E uscirono.

I corridoi a sezione esagonale facevano somigliare la struttura a un'astronave. Di solito quei corridoi erano pieni di camici esagitati e cartelle di fogli con righe di calcoli, ma a quell'ora i loro passi echeggiavano senza ostacoli, fino a oltre la curva, dove si perdevano. Mentre facevano strada, con gli assistenti appena avanti a lui, gli venne da pensare a quanto la situazione fosse stramba. Si poteva quasi immaginare che quei due fossero i suoi carcerieri e lui un detenuto portato di notte a morire al riparo da sguardi indiscreti. Chissà perché gli veniva in mente questa roba. Erano solo fantasie, pensò. Ci volle poco perché arrivassero davanti alla porta della sala controllo. Lì gli assistenti si congedarono, lasciando il posto alla guardia, che gli aprì la porta senza entrare. Da lì in poi era solo. Si fece strada.

La sala era grande, semicircolare. Tre file di scrivanie ingombre di lampade da studio e matite appuntite fronteggiavano un tripudio di schermi a tre livelli, disposti a varie altezze, che andavano dal semplice monitor allo schermo gigante. Al centro del semicerchio degli schermi, un'unica sedia girevole dall'alto schienale imbottito, di tela rossa. Vi si avvicinò e si appoggiò con le mani allo schienale, ma non si sedette. Ne accarezzò il rivestimento e ne ricavò la consueta sensazione di pesca. Era un tessuto del tutto particolare, lo aveva chiesto lui stesso. Poco lontano, su un largo carrello di legno chiaro, c'era da bere e da mangiare in stoviglie argentate.

"Perché proprio io?" si ritrovò a pensare, ancora una volta, davanti ai pannelli di controllo. Non era più con angoscia che se lo chiedeva - era passato molto tempo - ma piuttosto con curiosità. Ce n'erano stati mille meglio di lui: più pronti, più intelligenti, più preparati o più esperti. Non era il più anziano, non aveva avuto neanche un punteggio degno di nota. E invece lui, pian piano, avevo fatto la sua scalata, con noncuranza, quasi con fastidio, ogni volta che gli attribuivano un incarico superiore. E infine era arrivato lì. Che qualità poteva vantare?

Tra tutte le creature, il suo animale era sempre stato l'elefante. Era paziente come lui. Paziente, pacifico, ma mai pigro. Gli elefanti non stanno tutto il giorno in acqua come gli ippopotami, con gli uccellini sul dorso. Né come i coccodrilli, che aspettano solo che il cibo gli finisca in bocca da solo spinto dall'arsura. I leoni falliscono nove cacce su dieci. E uccidono i cuccioli altrui, aggiunse pensandoci. Lui non era certo un leone: era un elefante. Aveva vissuto comportandosi come un elefante, senza saperlo. Per questo era lì, al posto di comando. Svolgeva questo incarico tremendo con responsabilità e puntiglio. Sapeva di incarnare un potere smisurato, ma se all'inizio il senso di responsabilità lo aveva schiacciato, da un po' era subentrata una certa assuefazione; qualcosa che, se non era orgoglio o piacere, era però consapevolezza della superiorità rispetto alle creature che amministrava.

Avrebbe voluto qualcuno con cui condividere la sua pena, ma era solo, tremendamente solo; tutti gli altri erano come gli uccellini che si posano sulle spalle dell'elefante, buoni solo a rimuovere i parassiti. Ma lamentarsi non gli sarebbe servito a nulla. Chiuse il filo dei pensieri e si mise a sedere. In quel momento una ventina di luci quasi lo accecarono. Si riparò gli occhi con la mano e quando si fu abituato alla nuova luce, gli schermi pulsavano di dati: cifre, grafici, previsioni. Tutti quei macchinari volevano lui. Diede subito il via alla sua personale routine.

Il primo dato che notò fu il parametro “Popolazione”: 10 549 322 003. Quasi cifra tonda. Era un'occasione da non perdere. Premette due pulsanti e osservò il dato diventare perfetto. 10 549 322 000. Ecco, queste coincidenze gli procuravano una certa soddisfazione. Gli davano l'illusione di un ordine in un insieme infinito di variabili che sembrava fatto apposta per sfuggire a ogni previsione ragionata.

Restò come incantato a guardare quel numero innaturalmente esatto, finché un minuto dopo l'aggiornamento non registrò un vistoso aumento di 347 nuove unità: il dato più alto delle ultime notti. Perché? Diede un'occhiata agli schermi circostanti. "Ecco!" disse guardando meglio; il tasso di nascite era troppo alto in almeno quattro paesi in via di sviluppo. Perché non glielo avevano detto? "Niente di rilevante". Lo era, invece, perché le stime di crescita erano state tarate su previsioni ben al di sotto di quelle. Era uno squilibrio potenzialmente imprevedibile e bisognava arginarlo. Premette quattro pulsanti in fila. Così poteva bastare. Si rilassò sulla sua comoda sedia, stiracchiandosi. Sbadigliò. Fuori la notte passava lentamente.

Ad un certo punto, uno stridio acuto lo risvegliò. Era disdicevole, ma nelle ultime notti gli era capitato spesso di addormentarsi durante il turno. Quanto tempo aveva dormito? Intanto, senza aspettare che si riprendesse, lo stridio che indicava una chiamata si spense da solo e lo schermo centrale si illuminò di un bianco accecante.

"Michael!"
"Padre!" rispose lui con voce tremante.
"Ti eri addormentato?"
"No.… sì, padre. Scusatemi, è che..."
"Il tuo lavoro ti annoia, Michael?"

"Sì, padre. Sarò sincero. Guardate qui. Aumentano, ma la crescita non è armoniosa. Le disparità si incrementano secondo un modulo geometrico, non lineare. I parametri che avevamo previsto sono stati sovvertiti in modo imprevedibile. Ogni notte mi ritrovo a correggere lo scenario, ma la tendenza di fondo è chiaramente al caos e alla dispersione. Non credo che ricaverete molti dati attendibili, in questo modo". La luce lampeggiò due volte.

"E non c'è niente che tu possa fare, Michael?"

"Vorrei, ma temo di no. Ci stiamo provando da settimane. Lo sapete bene, di giorno siamo tutti al lavoro per trovare le correzioni alle tendenze erratiche, tutti quanti. Non possiamo fare di più. Sono esausto, padre. Ho fallito". Scese un momento di silenzio. La luce bianca pulsava ora a intervalli regolari, come stesse meditando qualcosa. Michael percepì che il padre non lo stava osservando; stava contemplando se stesso.

"Michael". "Padre", rispose in attesa. "Azzera il progetto. Ne creerai un altro a parametri fissi e prevedibili, parametri perfetti. Optimum climatico, cibo vario e a disponibilità illimitata. Nessuna possibilità di conflitto con i simili. Nessuna conoscenza del bene e del male. Tutto come l'altra volta, sai come farlo."

"Sì, padre". "Ah, Michael?" "Sì, sono qui".
"Ecco, Michael, questa volta togli il serpente."
"Certamente" disse sorridendo. Sentiva già rimontare l'entusiasmo.





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