Il paradigma della menzogna - InEsergo

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06 Dicembre 2020 - Libri

L’arte di mentire a se stessi e agli altri secondo lo psicoterapeuta aretino Giorgio Nardone

Il paradigma della menzogna
  
“Il falso è quello che credono tutti
è il racconto mascherato dei fatti
il falso è misterioso
e assai più oscuro
se è mescolato
insieme a un po' di vero
il falso è un trucco
un trucco stupendo
per non farci capire
questo nostro mondo”
Giorgio Gaber, Il tutto è falso
 
La menzogna, il trucco, l’inganno. Dove finisce il Vero per innescarsi il Falso? Domanda che affanna l’etica e la filosofia dall’inizio del mondo. Per Oscar Wilde la falsità sta alla base dei rapporti interpersonali; Immanuel Kant la ritiene invece un abominio, un’aberrazione del linguaggio, mentre Agostino d’Ippona ne intravede la connotazione negativa solo in presenza di una volontà truffaldina. Eppure, la questione non sembra così semplice: si mente agli altri ma prima di tutto a noi stessi, e non solo in maniera deprecabile. Tra i due ambiti vi è una differenza sostanziale: se la menzogna autoindotta è quasi sempre inconsapevole o comunque involontaria, quella rivolta all’esterno mira a un vantaggio personale e quindi appare conscia e deliberata.

Ne parla diffusamente lo psicoterapeuta aretino Giorgio Nardone nel suo L’arte di Mentire a Se Stessi E Agli Altri (Ponte alle Grazie, Milano, 2014), ottimo pamphlet dal titolo invero un po’ ingannevole. Non si tratta infatti di acquisire arti manipolatorie e disdicevoli, ma prendere atto di come la Verità, nella sua valenza assoluta, sia un concetto meramente astratto e indimostrabile. Non è infatti possibile intravedere una qualsivoglia oggettività nella realtà esterna, che si presenta comune solo nella misura in cui se ne ha uguale sentore.

Sono dunque i nostri sensi e le percezioni che ne derivano a forgiare letteralmente un’esperienza della realtà a uso e consumo della macchina biologica e dei suoi neurotrasmettitori, tratteggiando un quadro del reale continuamente in divenire. Decisioni e ricordi, strategie e pensieri si mostrano mutevoli e privi di una connotazione incontrovertibile. Spesso l’autoinganno può assumere un’accezione indulgente e benefica, non solo riguardo alla gestione psicologica di un difetto fisico, ma anche convincendosi intimamente di possedere qualità che finiscono in tal modo per divenire credenze radicate e quindi percepibili anche dagli altri: le sfumature fascinose di taluni individui ne sono un classico esempio. E che dire ancora di quando si agisce e si pensa come se la realtà fosse connotata esattamente dai tratti desiderati, finendo per porre le premesse effettuali alla sua materializzazione?

Certo l’autoinganno non sempre è foriero di benefici. Anzi. Nardone sciorina diversi esempi perniciosi: dall'ottusa reiterazione di una strategia di successo, al non voler vedere ciò che è scomodo o doloroso per tacitare emozioni primordiali; dall’edulcorare esperienze vissute al fine di incrementare la propria appetibilità, alla costituzione di un ruolo sociale immaginario cui attenersi nel reale, anche nel caso ciò implichi comportamenti sadici o crudeli (come nel ben noto Effetto Lucifero). E poi, naturalmente, l’inganno in amore, la più classica delle menzogne, nella sua essenza antropologica e ineluttabile: mentire al partner, o meglio ancora omettere delle verità, per preservarne il benessere e l’attaccamento, o per rivolgergli sincere quanto insostenibili promesse di eternità funzionali alla sinergia emotiva e sessuale.  

Vi è poi la falsità ammannita per gli altri, e come tale sempre consapevole. Ma anche qui il fine del mentire ne qualificherà la portata morale: l’inganno in guerra per proteggere i propri commilitoni sarà molto diverso dalla truffa o dalla manipolazione delle informazioni. La bugia consolatoria della persona cara che a fin di bene nega l’evidenza per proteggerci ha più che un’affinità con il classico effetto placebo riconosciuto e accettato in medicina: si mente sulle potenzialità terapeutiche di un qualche preparato oggettivamente inerte e il paziente, suggestionato dalla sua presunta efficacia curativa, riscontra miglioramenti insperati delle sue patologie.

Il mendacio ha comunque stratificazioni differenti: la negazione dell’evidenza, spesso di successo se sostenuta con protervia e convinzione, denota un profilo psicologico totalmente differente da quello di chi si limita a celare una parte della verità. L’omissione possiede a sua volta un nesso concettuale con la censura, tipico strumento di controllo delle informazioni da parte dei regimi autoritari. Omettendo e censurando è possibile intavolare un racconto della realtà a proprio uso e consumo. Ma Giorgio Nardone ci ricorda come si censuri da sempre anche in ambito scientifico, per interesse comune e personale, ogniqualvolta disvelare una verità scomoda potrebbe turbare equilibri consolidati; oppure in ambito politico e istituzionale, qualora non basti omettere dettagli o sotterrare evidenze contrarie, ma serva articolare un’informazione falsa che appaia credibile soprattutto sul piano logico.

Le tecniche più avanzate di dissimulazione e capovolgimento del reale vertono infatti sulla congruenza della narrazione e sulla verosimiglianza, al fine di procedere con un coinvolgimento emotivo e inconscio dell’inconsapevole target sociale. Ciò accade perché nel recepire le argomentazioni la mente umana tende a farsi sedurre dal rispetto dei criteri logici abituali piuttosto che indagare la veridicità dei contenuti. In altre parole, conta molto di più il come si dice di quello che si dice e Nardone in tal senso è lapidario: è più difficile credere a una verità che viola i criteri logici a cui siamo educati che a una menzogna che li rispetta. Mescolare poi il vero con il falso permette al truffatore di rendere la miscela particolarmente appetibile, specie se il racconto del falso avviene con convinta immedesimazione e autoinganno, proprio come se si trattasse di teatro, recitazione drammatica e suggestione.

I procedimenti manipolatori hanno naturalmente il contraltare di quelli smascheranti: tra i più alla portata vanno annoverati il mettere in difficoltà il mentitore con domande e interpolazioni sempre più pressanti e l’assecondare la menzogna per farla cadere in trappola, talvolta fingendo di non comprenderla affatto.

Il percorso narrativo del Nardone scrittore si compie con agilità, traversando ambiti apparentemente settoriali e specifici che riguardano però la quotidianità dell’essere umano. La visione della realtà come costrutto soggettivo e la focalizzazione sul qui e ora sono elementi cardine della strategia terapeutica dello psicologo aretino che mostrano nessi evidenti sia con la fisica quantistica (per la quale è l’osservatore a determinare la realtà), sia con i grandi insegnamenti spirituali fondati sul ricordo di sé. Certo Nardone è un clinico e si limita alle problematiche della personalità senza divagare su stati di coscienza inusuali: proprio per questo il suo L’arte di Mentire a Se Stessi E Agli Altri appare un efficiente e pragmatico strumento di indagine su noi stessi e sulla percezione dell’ambiente esterno, se non altro nell'indurci a riflettere su elaborazioni sottotraccia che consideriamo ineluttabili e di cui invece potremmo riappropriarci a vantaggio del nostro benessere mentale. Quasi una chimera, di questi tempi.
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