Manichini
L’immobilità è sottovalutata. Diceva un proverbio che prima o poi il tuo nemico passerà galleggiando sul fiume, anche se dove abiti non c'è alcun fiume. L’immobilità è una consuetudine se hai le giunture saldate in un pezzo di plastica unico.
Il resto sono solo chiacchiere, fuffa, esercizi di stile, parole vuote, gocce di pioggia asimmetriche, polemiche inutili.
La dura realtà è semplice e netta: sei al di là del vetro, sei irraggiungibile, ci divide una strada, appena una strada, la gente ci guarda e poi va via, noi rimaniamo li ad osservare il vuoto e a far finta di sentirci appagati.
Non abbiamo sete perciò non beviamo, non abbiamo bisogno di contatto umano, solo di gente che ci vesta e ci tolga e metta le braccia con un gesto netto, disarticolando la spalla, tirandola fuori da una fessura che funge da articolazione, che funge da osso, che funge da realtà.
Siamo di plastica, di materiale sintetico, non siamo nessuno, siamo inquinanti e nemmeno biodegradabili, siamo un’offesa e un cattivo esempio, un segno dei tempi, un collegamento con il passato, ma non di quelli che danno un certo spessore alla persona, ad esempio, come ascoltare i Led Zeppelin, no, siamo un passato che c'è sempre stato e perciò totalmente privo di qualche rimpianto.
Scorrono lente le gocce sulla vetrina, tu sei vestita da sposa e sei bellissima, ti vedo a malapena con tutta questa gente davanti, c’è una tizia che ti guarda ma sa che non potrà mai essere come te, credo che un po’ ti odi, ma tu hai la testa girata verso destra, con quel tuo fare così regale, il tuo profilo perfetto e la tua pelle di plastica dura.
Le luci di Natale, i bambini idioti che corrono ovunque, ricevo calci in continuazione; non dovrei sentirli, la gente crede che solo perché sei un manichino tu non possa soffrire. Lavoro 24 al giorno tutti i giorni, vorrei riposarmi un po’, ma sono fisicamente costretto a stare in piedi. Sarebbe bello sedersi, se solo potessi farlo. Potrei svitarmi il busto ma sarebbe disgustoso e potrei correre il rischio di farti schifo.
Per fortuna non siamo dentro un centro commerciale, amore mio, in uno di quegli ovili per gli esseri umani che hanno paura dei terroristi e dei terremoti e poi si accalcano e si spingono per entrare in un luogo che li raggruppa e dal quale sarebbe molto difficile scappare in qualunque caso, anche quello più stupido.
E anche se siamo qui bloccati a guardar passare le macchine, a sentire i discorsi delle commesse che vorrebbero di più, o vorrebbero soltanto non essere lì e non avere bisogno di quella paga da miseria, almeno noi siamo nati manichini, amore mio, e questa è la nostra vita. Io Ti Amo anche se non ci siamo mai toccati; so che tu mi ami, certo non guardi mai nella mia direzione, ma lo so. Lo sento, sei dentro le mie orbite disegnate e mi piaci anche quando ti cambiano la parrucca.
Non sai che dolore è vederti smontare, amore mio. Ogni cambio di stagione, ogni volta che arriva un abito nuovo, vedere il supplizio a cui ti costringono, ti afferrano senza delicatezza e ti svitano il busto, ma tu non accenni nessuna smorfia; ti tolgono le braccia e appoggiano il tuo corpo nudo e bellissimo su una sedia di legno di quelle volgari e pieghevoli, ti toccano con quelle mani sudice e senza grazia, le odio quando con i capelli legati in modo dozzinale con delle pinze si distraggono e ti fanno cadere le braccia. E poi odio la tua collega che ti sta vicino. Vicino sì, ma non troppo, sta sempre da sempre. Un passo indietro. Sei tu la star della vetrina, amore mio, lo sanno tutti. E lo sa anche lei. Io la guardo ogni tanto e lo vedo che rode d’invidia, le hanno pure rubato la parrucca e sta lì calva e invidiosa: che le mettessero un cappello, quantomeno!
Non passa più nessuno adesso. È notte e le commesse sono andate via; erano felici come sempre di chiudere, hanno spento tutte le luci e hanno lanciato dei Vaffanculo giganteschi alla vecchia signora che gestisce il negozio. Ormai per strada ci sono solo i cani randagi e ovviamente il solito cane marrone verrà a fare pipi sulla mia vetrina; la strada è bagnata e solitaria. Resto qui a pensare a una poesia da scriverti ma poi mi accorgo che le mie mani sono finte e non servirebbe a niente.
Le cose cambiano anche se sei un manichino.
Non ci sono più luci, non c’è più molta gente che corre dietro ai saldi, non ci sei più neanche tu, chissà dove ti hanno portata. Mi ricordo il giorno in cui ti hanno tolta dalla vetrina, ho visto tutto, un faretto ti illuminava, il solito cane era davanti alla mia vetrina, avrei voluto mettere la mano sul vetro o urlarti che ti amavo, così magari forse sarebbe cambiato qualcosa. Le due ragazze che ti stavano portando via si sarebbero stranite del fatto che un manichino avesse urlato un “Ti Amo” così disperato. I sentimenti sono sentimenti, che cazzo! Anche se fisicamente sei dello stesso materiale di uno spartitraffico.
Il tempo passa, i mesi si alternano, cambiano i miei abiti. Per tre mesi ho avuto indosso un paio di bermuda assurdi e una camicia Hawaiana che mi faceva pensare di essere davvero nato fortunato. Io il manichino lo faccio per lavoro, anche se in fondo non potrei fare altro. Forse i crash test. Forse niente. Ma voi umani queste cose ve le mettete sul serio. Poi dite di essere pensanti.
La vita ferma, la routine più routine che ci sia, cotto da questo faretto dozzinale, stanco di stare in piedi e con la mano destra perennemente a mezz’aria come se indicassi qualcosa, come se alla gente importasse davvero. Eppure, ho la sensazione che manchi qualcosa, la materia inanimata non mi basta più anche se è una condizione inevitabile.
È di nuovo Natale, lo so perché stamattina hanno montato le luci intermittenti.
Mi ricambiano i vestiti e mi spostano un po’ più a destra per far spazio, il cuore mi trema, ci spero, vorrei che fossi tu. Vorrei che ti portassero qui, anche solo la testa. Se avessi un cuore batterebbe all’impazzata; se avessi un cuore sarei già morto di ansia.
Poi scostano la tenda e ti portano da me, ti sistemano, ti poggiano, siamo vicini. Sì, tu guardi nella direzione opposta alla mia, ma sei qui vicino a me, intravedo il tuo profilo. Oh, se potessi girare il collo verso di te, se potessi parlarti! Ma tu non parli... Ci hanno vestiti in modo complementare, come se le coppie dovessero per forza vestirsi in modo simile. Ci fanno sembrare marito e moglie affinché le persone guardandoci si sentano inadeguate.
Tu non mi guardi e non mi parli, io ti amo e te lo sussurro ogni sera mentre il cane marrone piscia sulla vetrina e le luci sembrano sempre di meno a causa del fatto che sono le stesse dal ‘78. Sopporto pure i bambini e le commesse frustrate. Sopporto tutto molto meglio. La vetrina è bagnata dalla pioggia e guardo nella stessa direzione da una vita, ma non vedo più niente. So che tu sei accanto a me e sono un manichino abbastanza sereno e contento di non essere umano e volere di più.