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28 Giugno 2024 - Cinema

Tra paradossi temporali e visioni ucroniche

Lola
  
Immaginate che in un luogo imprecisato della campagna inglese, all’interno di una vasta dimora circondata dalle piante e da così tanta vegetazione da collocarla fuori dal mondo e (apparentemente) dalla storia, due giovani sorelle negli anni ’40 del secolo scorso cantassero e ballassero sulle note dell’immane Space Oddity di David Bowie. Provereste un senso di straniamento o no? E se questa scena la osservaste direttamente da una pellicola dell’epoca, le cui bobine fossero state trovate per caso nel 2021 tra le scartoffie di una vecchia soffitta? Ecco. Benvenuti nel mondo di LOLA.

Prendetevi un’ottantina di minuti per immergervi nel finto documentario (mockumentary) del regista e sceneggiatore irlandese Andrew Legge, al suo debutto nel favoloso mondo dei lungometraggi. LOLA è un’opera del 2022 a bassissimo costo, irriverente e geniale quanto basta. Il pretesto è quello del found footage, non proprio una novità se si pensa alla pletora di epigoni horror da The Blair Witch Project in avanti; il soggetto è qualcosa che ricorda da vicino il famigerato cronovisore di Padre Pellegrino Ernetti: LOLA è infatti una macchina prodigiosa che le due sorelle di cui sopra ereditano dal padre e che permette loro di scrutare il futuro attraverso uno schermo.

Martha (Stefanie Martini) e Thomasina Hanbury (Emma Appleton) si innamorano della beat generation, del flower power e del punk, imparano a memoria canzoni che sono ben al di là da venire, rimangono affascinate dalle lotte giovanili del futuro e dal profumo di libertà che trasudano. Ma fuori, nel mondo reale, la Seconda Guerra Mondiale tragicamente incombe. Grazie alla macchina, Thomasina saprà intervenire pesantemente sul conflitto, anticipando le mosse dei nemici tedeschi, rivelando i luoghi scelti per i bombardamenti attraverso trasmissioni radio clandestine che salvano vite umane e favoriscono le mosse anglosassoni.

Ecco che You really got me dei The Kinks, brano che sarebbe stato pubblicato solo vent’anni dopo, diviene improvvisamente la colonna sonora di un Inghilterra in grado di umiliare i deliranti propositi del Terzo Reich, diffondendosi tra migliaia di giovani che la ballano per le strade nel pieno dei disadorni anni ’40. Le suggestioni e i paradossi temporali abbondano, tra delicatezze retrò e una fotografia in bianco e nero necessariamente imperfetta, sporca, per restituire l’effetto di una pellicola che vuole sembrare artigianale, a volte perfino traballante, in cui la finzione si alterna a filmati d’epoca presi in prestito direttamente dagli archivi Getty e Pathé. L’effetto, come si diceva, è straniante: le sequenze ammaliano sfruttando al massimo la povertà delle risorse in campo, senza un attimo di respiro o di noia pur non disponendo del patologico conflagrare di effetti che tanto piace alla cinefilia yankee.

La possibilità di intromettersi direttamente nel corso degli eventi darà alle protagoniste un febbrile potere che fatalmente prenderà la mano, come intuibile: le conseguenze saranno tipicamente ucroniche, con doveroso omaggio al Philip Dick di La svastica sul sole. Saranno infatti i tedeschi in ultimo ad avere la meglio sugli Alleati, con largo sventolio di svastiche in America e in Inghilterra e Thomasina che si ritroverà a lavorare direttamente per il Führer. Come Emmett Brown insegna, il tempo è una linea retta il cui procedere si modifica insieme alle contingenze e se qualcosa va storto occorre rimediare. L’esito non sarà affatto scontato: in fondo il collasso della funzione d’onda materializza solamente una tra le infinite possibilità.  

Lasciamo allora perdere le recensioni, che qui interessano poco. LOLA è un concentrato di genialità e siccome in quest’epoca il genio in larga parte difetta, non potrete semplicemente farne a meno. Dal conflitto incandescente che matura tra le due sorelle, prima intimamente legate e inseparabili, poi terribilmente respingenti e distanti, tutto il film trae la sua forza. Avete presente la caratterizzazione dei personaggi, che oggi appena difetta? Ma la riflessione è più ampia e si sforza di abbracciare la cultura, i costumi, la visione del mondo di esseri umani distanti decenni, eppure sempre uguali a se stessi. D’altronde il fondo di caffè di un’epoca si legge attraverso il suo zeitgeist, il profumo che si riversa sulle pagine di quella che diventerà la sua storia. Di fronte ai corsi e ricorsi viene meno anche l’idea di bene e male, come se non esistesse alcuna regolazione etica ma solo un incastrarsi di eventi generanti a cascata altri fatti e impressioni.

LOLA non propone un punto di vista rassicurante e certamente non si ammanta di quella retorica che tanto piace allo spettatore medio. Le sorelle Hanbury vivono il tempo e il futuro come un sogno e un’opportunità di potere, ma dimostrano a se stesse che anche le azioni perpetrate a fin di bene possono ribaltarsi negativamente se l’ego si fa ipertrofico: si chiama eterogenesi dei fini e l’essere umano inevitabilmente vi soggiace. E poi quello schermo in bianco e nero che fluisce nel tempo ruotando una manopola richiama sin troppo sfacciatamente il fantomatico cronovisore. Realtà o suggestione? Forse Andrew Legge si è documentato sul leggendario strumento di Padre Pellegrino Ernetti prima di stendere la sceneggiatura? La domanda resterà senza risposta, ma probabilmente è proprio come LOLA che il misterioso apparecchio del monaco benedettino doveva funzionare. Ammesso che sia realmente esistito, ovviamente.


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