Le Roi Soleil, la Bohemian Rhapsody italiana - InEsergo

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10 Maggio 2020 - Musica

Analogie e differenze tra due brani storici del rock internazionale

Le Roi Soleil, la Bohemian Rhapsody italiana
 
Nel 1976 i New Trolls ci riprovano. Dopo l’incredibile successo cinque anni prima di Concerto Grosso per i New Trolls, mastodontica e lungimirante operazione di sincretismo tra rock e musica barocca a firma del premio oscar Luis Enriquez Bacalov, ecco spuntare il Concerto Grosso n.2. Questa volta non si tratta di una colonna sonora (nel 1971 il film era “La Vittima Designata” di Maurizio Lucidi) ma di un’opera indipendente, finanziata non da una grossa casa discografica ma da una piccola etichetta fondata dai fratelli De Scalzi. Certo, i tempi sono cambiati. La band si è sciolta in due formazioni distinte e il grande successo commerciale di Aldebaran e Quella Carezza della Sera è ancora di là da venire. Inoltre dall’Inghilterra è appena calata la più grande opera rock di sempre, quella Bohemian Rhapsody eletta nel 2000 canzone del secolo e assurta in tempi recenti come la più ascoltata del XX secolo.

Nel 1976 i New Trolls fanno ritorno alla formazione originaria (Gianni Belleno – batteria , Giorgio D’Adamo – basso , Nico Di Palo – chitarra , Vittorio De Scalzi – tastiere e flauto), con il quinto nuovo elemento Ricky Belloni alla chitarra. A siglare il vinile contenente il secondo concerto grosso le fantasmagorie di Le Roi Soleil, brano che delle forme barocche non mostrava più nulla ma si palesava come vero e proprio talismano di rock progressivo, percorso da parti vocali inaudite, imponderabili per la musica pop. Fu chiaro sin da subito, dunque, che i New Trolls avessero raccolto il guanto di sfida e non si sentissero inferiori a nessuno, al punto da consegnare ai posteri quella che, con le dovute precauzioni, può essere a tutti gli effetti considerata la Bohemian Rhapsody italiana: non frutto solipsistico di una mente insondabile come nel caso dei Queen ma lavoro collettivo pensato per deflagrare live sul palcoscenico.

Certo, le differenze sono tante e paradossalmente più delle similitudini. Insomma, è fuor di dubbio che i New Trolls non abbiano mai avuto intenzione di copiare pedissequamente o di metterla sul piano del braccio di ferro: non solo non avrebbe avuto alcun senso ma un simile approccio avrebbe potuto rivelarsi oltremodo periglioso per la formazione genovese, tra le migliori band italiane di sempre ma pur sempre esile rispetto all’imponenza discografica di Freddie Mercury e compagni.
Ed ecco allora la prima marchiana antinomia: se in Bohemian Rhapsody il testo è una sorta di criptica e sofferta confessione autobiografica, con riferimenti al corano, ai demoni interiori e a un certo divertito nonsense, in Le Roi Soleil le parole sono solo un pretesto per musicare gli attimi di spasmodica attesa degli abitanti di un paesino della campagna francese di primo Settecento per l’arrivo dalla collina di Luigi XIV, il Re Sole, e di tutto il suo corteggio; il calembour nella parte centrale, anche se esplicitamente negato (“this is not a calembour”), è un libero artifizio propedeutico al virtuosismo delle parti vocali, che disseminano accenti in controtempo forieri di un primo magistrale senso di straniamento. Anche le forme dei due brani non hanno pressoché nulla in comune: quello dei Queen stravince per complessità e articolazione.

Il vero tributo, a volte con citazioni quasi letterarie, riguarda naturalmente tutta la parte operistica centrale, di cui i New Trolls riprendono almeno tre fondamentali concetti, con la sostanziale e icastica differenza - giova ribadirlo - che mentre Bohemian Rhapsody nacque come capolavoro di ingegneria strumentale (si contano fino a centottanta parti vocali nella versione finale) pensato per rimanere confinato allo studio di registrazione, Le Roi Soleil fu interamente composta per essere celebrata di fronte al pubblico. Il primo e più evidente trait d’union sono naturalmente le armonizzazioni vocali, in gran parte a quattro voci, di cui i New Trolls avevano già disseminato gli album precedenti: una tecnica da cui il rock aveva già brillantemente attinto (si pensi ai Beatles di Because, a Crosby, Stills, Nash & Young di Déjà vu, ai Beach Boys di Pet Sounds solo per fare qualche esempio).
Il secondo elemento è la propensione al falsetto, a prendere note altissime e fuori scala di cui entrambe le formazioni usufruivano ampiamente grazie a due solisti baciati dagli dèi come Nico Di Palo da una parte e Freddie Mercury dall’altra. Infine, terzo elemento, l’effetto delle voci a cascata, cioè in rapida successione e in sequenza a scoscendere il pentagramma: sicuramente l’aspetto volutamente citazionista del brano dei New Trolls, quello più tecnicamente imitativo e forse maggiormente improntato al lo sappiamo fare anche noi.

A dispetto dei quarantacinque anni di distanza temporale, Bohemian Rhapsody e Le Roi Soleil rimangono fulgidi e intramontabili esempi di un modo di approcciare alla composizione rock di cui si sono totalmente perse le tracce: l’amore per il rischio, se non per l’inaudito – nel senso proprio di mai udito prima -, miscelati a una preparazione musicale fuori dal comune e a uno spaventoso talento sono tutti elementi di cui la musica popolare contemporanea è stata progressivamente depauperata. Se i Queen con quel brano divennero delle superstar, i New Trolls dovettero ancora attendere l’album successivo (Aldebaran) per innalzarsi al ruolo di icone nazionalpopolari anche se ormai più vicine ai falsetti dei Bee Gees che non al rock colto e sperimentale. In entrambi i casi, riascoltare le due composizioni oggi, magari in ardita successione, ha un effetto taumaturgico e liberatorio, la testimonianza di un’epoca artisticamente indimenticabile. Mai così distante dai tempi moderni.    
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