Le cose da salvare
Quali sono le cose da salvare? È una domanda che i nostri nonni devono essersi posti decine di volte, almeno a ogni strepito di sirena, quando il tempo di guerra necessitava vitale accettazione a lasciarsi tutto alle spalle in pochi minuti e a fuggire nelle gallerie, con la concreta possibilità che esaurita l’umana aberrazione della propria casa non restasse più nulla. A Genova quel 14 agosto 2018 fu come una guerra, come un bombardamento. I primi soccorritori parlarono di scenario apocalittico. Chi scrive non riuscì a incrociare con gli occhi quella linea d’orizzonte interrotta per molto, molto tempo. La medesima domanda si dispiegò anche tra gli sfollati di Via Porro, costretti ad abbandonare definitivamente le proprie abitazioni dopo qualche furtiva incursione, mai rispettosamente solitaria, nella disperata selezione dei pezzi di cuore da portare con sé nel prosieguo del cammino. Cosa salvare se lo chiede anche la giovane scrittrice Ilaria Rossetti con questo terzo lavoro, vincitore del Premio Neri Pozza 2019.
Le Cose Da Salvare è, senza troppi giri di parole, un romanzo strepitoso. Centosessanta pagine di puro fluire, magia letteraria, cuore immaginifico e tecnica sopraffina. Avanza per immagini la Rossetti, visionaria nel delineare con sapienza gli sfondi, il mare selvaggio e pulsante, il proscenio su cui i protagonisti muovono i passi. Ecco via dei Bastioni, alias via Porro, la cosiddetta “zona nera” degli edifici rimasti eretti sotto il moncone est di un anonimo Ponte (sempre con la P maiuscola) che non può essere che il Morandi, con la sua polvere, l’ossuta desolazione, lo spettrale boulevard. Ecco il civico 36 dove risiede il coprotagonista Gabriele Maestrale, ex insegnante in pensione barricatosi nel suo appartamento dopo il crollo, sopravvissuto a ogni tentativo di deportazione a suo rischio e pericolo, fino all’abbandono. Un fantasma in carne e ossa testimone inconsapevole di una resa resiliente, fieramente opposto a un mondo con il quale l’identificazione non è più possibile. Ed ecco la giovane protagonista Petra Capoani, giornalista di un quotidiano locale, che anela senza alcuna solipsistica ambizione al proprio posto nel mondo e si trova suo malgrado tra le mani lo scoop dell’anno: l’intervista a quell’uomo incastonato fieramente nell’immaginario collettivo post-tragedia. E poi, ancora, il padre di Petra, Alfio, e l’amore della giovinezza Vanda, rimasti entrambi soli perché, come spesso accade, la vita ha deciso di perseguire i propri disegni fregandosene a piene mani dei rovelli umani.
Innumerevoli sono gli spunti e le chiavi di lettura di un’opera letteraria che, pur non rinnegando la sua indole narrativa, mostra candidamente una natura profondamente poetica, intimamente umana. La solitudine di Gabriele, il non riuscire a staccarsi da quella casa trivellata dai colpi di una vita intera e ultima testimonianza del suo passato, unico zibaldone di oggetti e ricordi su cui erigere la propria identità, ha qualcosa di commovente e crepuscolare al tempo stesso. Al suo languore fa da contraltare la figura di Lorenzo Tarchioni, candidato sindaco della lista “Ricostruiamo Ponti”, che nell’immaginato concionare davanti alle telecamere ben ricorda il profluvio di retorica e continua spettacolarizzazione massmediatica, un clima da campagna elettorale permanente che effettivamente si ebbe a registrare anche nella cronaca. Sono come esponenti di due mondi opposti, Maestrale e Tarchioni, due diverse prospettive di vita che mai e poi mai potrebbero conciliare in un lieto fine, né in un romanzo né nella vita reale. In mezzo a loro, Petra, forse il personaggio più vicino alla Rossetti, alla dichiarata propensione dell’autrice a immergersi nel passato, a scrutarne i contorni attraverso il profilo degli oggetti, delle cose (anche in senso lato) che sono da salvare perché testimonianza del nostro transito terrestre. In Petra sembra esservi molto più di Gabriele che del suo contraltare, che in lei fa parzialmente capolino più per questioni generazionali che per reale convincimento e condivisione.
Anche Alfio è un uomo avviato alla parte conclusiva della vita. Un uomo perso, come Gabriele, che fatica a ritrovar se stesso, che del proprio cammino ha ormai messo alle spalle la parte più importante. Anche lui cerca le sue cose da salvare. Ma in Alfio, tuttavia, la prospettiva è differente, il passato riaffiora per far pace col presente, sbocco di una storia d’amore imprevista con la donna della giovinezza dopo la dolorosa dipartita della madre di sua figlia, in un tourbillon di atmosfere rarefatte e sentimenti in bilico sul precipizio. Tutti i percorsi troveranno modo di intrecciarsi e ricongiungersi per il tramite della protagonista, secondo le migliori tradizioni narrative, appassionando e incollando alle pagine fino alla fine.
Non vi sono né vincitori né perdenti tra Le Cose Da Salvare. Tantomeno eroi. Il crollo del ponte è metafora di dissoluzione e morte, a cui per definizione fa da contraltare la vita. È in questo soffermarsi sulle intime e umanissime profondità dei personaggi che Ilaria Rossetti trova il riscatto all’insensata tragedia. Solo il poetico ciondolare sulle nostre miserie può sollevarci dall’abisso. Nell’invenzione i colpevoli del misfatto sono i costruttori del ponte e vengono identificati dopo un brevissimo iter giudiziario di appena nove mesi. Nella realtà le cose stanno diversamente: il secondo incidente probatorio è ancora in corso e a quasi due anni dai fatti siamo ancora ben lontani da scoprire cosa sia realmente accaduto in quella plumbea giornata genovese di pioggia agostana. Non è un racconto cronachistico questo Le Cose Da Salvare né, grazie al cielo, azzarda a esserlo. È soprattutto una vivida asserzione letteraria, un toccante viaggio tra memorie e passato, un manuale d’istruzioni per maneggiare il nostro baule dei ricordi. Un gesto d’amore da portare con sé, specie tra gli spigoli di quella Genova di ferro e aria che Caproni battezzava mia lavagna, mia arenaria.