La compassione come essenza - InEsergo

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30 Ottobre 2024 - InterEssere

Oltre l’apparenza di gioia e sofferenza

La compassione come essenza

Chiamami con i miei veri nomi. Non dire che domani scomparirò, perché io arrivo sempre. Guarda in profondità: io arrivo ogni secondo, per essere un germoglio sul ramo a primavera; per essere un minuscolo uccellino con le ali ancora fragili che impara a cantare nel suo nido; per essere un bruco nel cuore di un fiore, per essere un gioiello che si nasconde in una pietra. Io arrivo sempre, per ridere e per piangere, per temere e per sperare. Il ritmo del mio cuore è la nascita e la morte di tutto ciò che è vivo.
 
Io sono un insetto che muta la sua forma sulla superficie di un fiume. E io sono l’uccello che, a primavera, arriva a mangiare l’insetto. Io sono una rana che nuota felice nell’acqua chiara di uno stagno. E io sono il serpente che, avvicinandosi in silenzio, divora la rana. Sono un bambino in Uganda, tutto pelle e ossa, le mie gambe esili come canne di bambù, e io sono il mercante di armi che vende armi mortali all’Uganda. Io sono la bambina dodicenne profuga su una barca che si getta in mare dopo essere stata violentata da un pirata. E io sono il pirata, il mio cuore ancora incapace di vedere e di amare. Io sono un membro del Politburo, con tanto potere a disposizione. E io sono l’uomo che deve pagare il ‘debito di sangue’ alla mia gente, morendo lentamente in un campo di lavori forzati.
 
La mia gioia è come la primavera, così splendente che fa sbocciare i fiori su tutti i sentieri della vita. Il mio dolore è come un fiume in lacrime, così gonfio che riempie tutti i quattro oceani. Per favore chiamatemi con i miei veri nomi, cosicché io possa udire tutti i miei pianti e tutte le mie risa insieme; cosicché io possa vedere che la mia gioia e il mio dolore sono una cosa sola. Per favore chiamatemi con i miei veri nomi, cosicché io mi possa svegliare e cosicché la porta del mio cuore sia lasciata aperta, la porta della compassione.

Thích Nhất Hạnh, “Essere pace”, Astrolabio Ubaldini, 1989
 
Comunicare è vivere la Compassione. Ma, attenzione, non è come comunemente si crede. Il termine Compassione non è sempre molto chiaro, spesso rimanda a quell’atteggiamento paternalistico da pat pat sulla spalla. Ma non è di questo che parlo. Compassione è quello stato dell’essere in cui il cuore percepisce l’identità di tutte le cose. “In tutte le creature” - scrive il Dalai Lama in Arte della Felicità – “vi è il seme della perfezione”. È tuttavia necessaria la Compassione per rendere fecondo quel seme intrinseco nel nostro cuore e nella nostra mente. La Compassione può essere definita come uno stato mentale non violento, non aggressivo e non intento a nuocere. È un atteggiamento dell’animo basato sul desiderio che gli altri siano liberi dalla sofferenza, e si associa all’impegno, alla responsabilità e al rispetto nei confronti del prossimo
 
“Compassione” - scrive Silvia Mecca sulla rivista Psicodinamica – “è la forza di guardare profondamente la natura della propria sofferenza e di quella altrui e di iniziare ad agire per cambiarla”. Ma compassione non è solo mettersi nei panni della sofferenza altrui, compassione è gioia ed è di questo che stiamo parlando. Viviamo in un universo di forze che interagiscono tra loro, formiamo una rete di sistemi energetici che non si possono separare. Ci sono istanti, ad esempio quando meditiamo, in cui non ci percepiamo parti separate ma avvertiamo fortemente di essere l’intero. E allora capiamo la Compassione, e la viviamo in ognuna delle nostre cellule, nei confronti degli altri partecipando al loro sentire, cum-patendo, sentendo ciò che essi stessi sentono; ma possiamo provare Compassione anche verso noi stessi, accettando le nostre ombre come parti di noi, sacra espressione dell’intero che siamo. O che temevamo, ma che, pure, dobbiamo accettare.
 
Il filo conduttore di questo è la comprensione del senso dell’ascolto profondo e dell’empatia, in quella dimensione al di là della molteplicità, dove “io” e “tu” perdono la loro separazione e “Io sono te, tu sei me” sembra diventare la nostra natura abituale. Il contatto con alcuni istanti di coscienza pura apre a una relazione al di là dell’ego e a una comunicazione non più tra due personalità ma tra un Sé e un altro Sé. Sono attimi magici che segnano una traccia nel nostro vissuto. Sono molte le definizioni di Empatia ed è fondamentale sentire quale o quali risuonano in noi. Se hai la tendenza a partecipare alle gioie e ai dolori di chi ti sta accanto, se riesci a esprimere con facilità quello che ti si agita dentro, se riesci a percepire lo stato d’animo di chi è con te, se ti commuovi davanti alla sofferenza degli altri, se sei in grado di metterti nei panni degli altri, se ti senti spinto a fare qualcosa per aiutare una persona in difficoltà, allora sai cosa voglia dire essere empatico.
 
Chissà quante volte ti sei focalizzato sul mondo interiore di chi ti era accanto, intuendo quello che stava avvenendo ai suoi livelli interiori più profondi, percependo quello che realmente provava, anche se esternamente cercava di mandare segnali del tutto diversi, si stava camuffando. Se sai creare quel contatto emotivo diretto con chi è con te e ti sai sintonizzare con lui, riesci anche a cogliere e ad accogliere il suo punto di vista, anche se è diverso dal tuo. Empatia è Non-Giudizio, spontaneità di condivisione. Prestando attenzione in modo nuovo alle tue sensazioni e a quelle di chi ti è di fronte, scoprirai che non sono né buone né cattive ma, semplicemente, “sono” e ti accompagnano al di là dello Spazio e del Tempo, in quella dimensione dove passato, presente e futuro si incontra. Per questo motivo una relazione empatica è una relazione che trasforma.


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