Jules Verne e l’epopea vandeana - InEsergo

Title
Vai ai contenuti
ARTICOLI MENO RECENTI

Il diritto alla "protezione del clima"

L'esperienza delle KlimaSeniorinnen

Il thriller che passione

Un invito alla lettura tra i maestri del genere

Space cowboy

Un'odissea post-apocalittica

Lola

Tra paradossi temporali e visioni ucroniche

Volevo parlare d'altro

Sensibilmente fuori tema: sbocciato

Ho'oponopono

La chiave della pace interiore e della guarigione spirituale

Lucis Trust e ONU

Tra magia bianca e collaborazioni controverse

È possibile ereditare il trauma dei nostri antenati?

L'impatto psicologico dei rapporti tra fratelli

Una dipendenza

Tra solitudine, un nuovo inizio e la scoperta di una presenza inquietante

Ponte Morandi: la verità è un anelito a prezzo di costo

Genova vuole credere nella giustizia. Genova vuole rispetto per i suoi morti. Genova chiede la Verità.
29 Novembre 2023 - Libri

Il libro “fantasma” di Verne e il primo genocidio della Storia Contemporanea
 
Jules Verne e l’epopea vandeana
 
Cittadini repubblicani, non c'è più nessuna Vandea! È morta sotto la nostra sciabola libera, con le sue donne e i suoi bambini. L'abbiamo appena sepolta nelle paludi e nei boschi di Savenay. Secondo gli ordini che mi avete dato, ho schiacciato i bambini sotto gli zoccoli dei cavalli, e massacrato le donne che non partoriranno più briganti. Non ho un solo prigioniero da rimproverarmi. Li ho sterminati tutti... le strade sono seminate di cadaveri.

François Joseph Westermann, alias “il macellaio della Vandea” (lettera al Comitato di Salute Pubblica, 23 dicembre 1793)

Gli accadimenti storici non sono mai compresi pienamente nell’incandescenza delle passioni che li accompagnano, ma a una discreta distanza, quando vengono raffreddate dal tempo. Per molto tempo si è rifiutato di ascoltare e di accettare quanto era stato gridato dalla bocca di coloro che morivano, che venivano bruciati vivi: i contadini di una terra laboriosa, per i quali sembrava fosse stata fatta la Rivoluzione, ma che la stessa Rivoluzione oppresse e umiliò fino all’estremo limite; ebbene, proprio questi contadini si ribellarono contro di essa!

Aleksandr Isaevič Solženicyn


Viaggio al centro della Terra, 20.000 leghe sotto i mari, Il giro del mondo in 80 giorni, Michele Strogoff, L’isola misteriosa e tanti altri. In quanti, e io sono uno tra quelli, hanno letteralmente viaggiato nello spazio e nel tempo con le avventure trasmesseci dal genio visionario di Jules Verne! Lo scrittore, che è considerato a tutt’oggi, quasi 200 anni dopo la sua nascita (1828), il maggior rappresentante del ‘romanzo d’avventura’, nonché padrino di quello ‘scientifico’, era prima di tutto un fiero cittadino bretone essendo nato a Nantes, all’epoca facente parte della cosiddetta Bretagna storica.
 
E, da bretone, Verne sentì evidentemente un’urgenza comunicativa che, nel 1864, lo spinse a pubblicare un romanzo che da un lato denunciasse le nefandezze del Regime del Terrore (1793-94) guidato dal Comitato di Salute Pubblica post-rivoluzionario; e dall’altro di eternare l’eroica resistenza e l’immane sacrificio della Vandea e delle altre regioni limitrofe sue alleate (tra cui la Bretagna, appunto).

IL LIBRO ‘FANTASMA’ DI VERNE
 
No, non affannatevi a cercarlo su Wikipedia…non è riportato nell’elenco di opere dell’autore. Parliamo de Il Conte di Chantelein. Il romanzo, senza scendere nei dettagli del plot, racconta le gesta militari e i travagli interiori del Conte del titolo (ispirato alla reale figura del generale vandeano Jacques Chatelinau, soprannominato “il santo dell’Angiò”), dapprima nel tentativo, in parte riuscito, di organizzare la resistenza dei contadini vandeani contro le armate repubblicane inviate a schiacciare la rivolta locale (ed effettivamente schiacciata nella decisiva battaglia di Savenay citata in esergo); e poi, nel descrivere la fuga e la vendetta del Conte verso chi gli aveva distrutto il castello, ucciso la moglie, rapito la figlia e saccheggiato il villaggio.
 
I contadini delle regioni atlantiche della Francia nord-occidentale erano stati da sempre ferventi cattolici e strenuamente fedeli ai Re borbonici. Normale quindi che non si sentissero rappresentati dal Governo Rivoluzionario. La confisca dei beni ecclesiastici e l’introduzione della Costituzione civile del clero (con i parroci costretti a giurare sulla Repubblica), nonché la legge sulla leva obbligatoria, furono i due fatti che portarono la Vandea a insorgere. Provvedimenti che dimostravano la pervicacia con cui i rivoluzionari attuarono la scristianizzazione della Francia e la repressione del dissenso, al grido di Uguaglianza, Libertà, Fraternità…o morte (il che, a pensarci, è una bella contraddizione in termini). Il soffocamento dei ribelli fu perseguito senza alcuna pietà dai luogotenenti del Comitato di Salute Pubblica, guidato a Parigi dal celebre ‘triumvirato’ composto da Robespierre, Saint-Just e Couthon. Un terzetto le cui teste, con il colpo di mano del 9 Termidoro (27/07/1794), ruzzolarono nella pubblica piazza parigina sotto la mannaia della ghigliottina; strumento che avevano fino a quel momento usato loro stessi con una certa disinvoltura contro i loro avversari politici. Non a caso, la storia del Conte di Chantelein si chiude proprio in quel giorno di mezza estate.

230 ANNI FA: IL PRIMO GENOCIDIO DELLA STORIA CONTEMPORANEA
 
Seppur non sottoposto a censure, il libro è stato da sempre considerato una sorta di bislaccheria di poco conto. Più conveniente ricordare Verne solamente come un autore fantastico. E non gettare troppe ombre sulla Révolution. A scavare a fondo in questa storia, ci si potrebbe ricredere su motivazioni ed effetti di quello che è considerato, a torto o a ragione, (assieme alla Colonizzazione Europea delle Americhe) l’evento più importante della Storia. Quello da cui, addirittura, si fa partire convenzionalmente la Storia Contemporanea.
 
Per chi scrive, il libro effettivamente non è particolarmente rilevante da un punto di vista letterario. Molto enfatico nei toni e manicheo nella rappresentazione dei personaggi, fin troppo ‘tagliati con l’accetta’, la narrazione procede svelta e piuttosto ‘telefonata’ nei suoi snodi chiave. Le peripezie si susseguono perciò in modo alquanto sbrigativo arrivando allo spannung, e al conseguente ‘scioglimento’, in modo frettoloso e poco avvincente.
 
Ma l’obiettivo dell’opera, è evidente, non è la realizzazione di un romanzo perfetto da un punto di vista formale. No, semmai è la denuncia di fatti, avvenuti poco più di mezzo secolo prima, di una gravità tale che, a posteriori, alcuni storici li hanno definiti come il primo genocidio della Storia Contemporanea. Dove il termine genocidio, nel significato datogli nel 1944 dall’inventore del termine, il giurista ebreo-polacco Raphael Lemkin (cioè gli atti commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso), va inteso nella sua accezione storiografica (da distinguere dalle altre: quella giuridica e quella sociopolitica).
 
Ci pare bene oggi ricordare questa definizione, visti i tragici fatti d’attualità e, a commentarli in tv e sui giornali, tanti pseudo-intellettuali che sparlano di genocidi senza conoscere, evidentemente, la suddetta definizione. Dare peso e significato alle parole, senza gettarle al vento, è decisivo per saper intrepretare la realtà e i fatti che ci circondano.
 
Forse una lettura de Il conte di Chanteleine, non foss’altro per schiarirsi le idee sui termini da usare, sarebbe buona cosa.
 
Sempre che lo si riesca a trovare in libreria…non sia mai che si macchi il buon nome della Révolution. Che poi…i cugini d’oltralpe chi li sente!

Torna ai contenuti