La genesi di un mito in celluloide - InEsergo

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30 Ottobre 2021 - Cinema

Halloween

La genesi di un mito in celluloide
  
Halloween di John Carpenter è universalmente considerato un cult movie. Girato nel maggio del 1978 lungo le strade di West Hollywood e di South Pasadena in un lasso di tempo davvero limitato (ventuno giorni, dato l’esiguo budget a disposizione) è a oggi il film indipendente più redditizio dell’intera storia del cinema.
 
Carpenter accettò la regia a patto di avere in mano l’intero controllo del processo creativo. Alla sceneggiatura venne coinvolta l’allora compagna del regista, Debra Hill, la quale scelse di ambientare la pellicola ad Haddonfield, tranquilla cittadina dell’Illinois, dove sembrava che nulla di destabilizzante potesse realmente accadere, con le classiche villette a schiera, i backyard e gli ampi spazi verdi. Il film venne girato in primavera e per ricreare il tipico foliage del periodo autunnale vennero adoperati sacchi di foglie morte che un ventilatore, posto a ridosso della cinepresa, spargeva per le strade. Particolare curioso, per i più attenti, la presenza di una serie di palme fuori contesto. Com’è facile immaginare la casa dei Myers è assurta nel tempo a vero e proprio luogo di pellegrinaggio da parte dei fans più accaniti, i quali chiedono di poterla visitare risalendo le sue indimenticabili scale.
 
Il film narra l’inquietante storia di Michael Myers che, alla tenera età di sei anni, massacra la sorella proprio nella notte di Halloween del 1963. Rinchiuso in un ospedale psichiatrico di massima sicurezza, riesce a fuggire dopo quindici anni per recarsi nuovamente sul luogo del delitto, perseguitando alcune baby-sitter di provincia. La Hill conosceva molto bene il mondo del babysitteraggio, al punto che i dialoghi tra i ragazzi furono scritti dalla stessa Hill mentre Carpenter si occupò della “parte malvagia” del soggetto.
 
Pochi ne sono a conoscenza, ma Halloween fu fortemente ispirato da un film altrettanto iconico: Psyco di Alfred Hichcock. Se, infatti, Halloween viene considerato il capostipite degli slasher movies (dall’inglese to slash, ovvero ferire con un’arma affilata), Psyco è a tutti gli effetti un proto-slasher (ricordate la sequenza della doccia?). Caratteristiche tipiche del genere sono la presenza di un mostro mascherato (come Freddie Krueger in Nightmare o Jason Voorhees in Venerdì 13), un gruppo di adolescenti, il breve lasso di tempo in cui si dipana l’intreccio e l’avvertimento che i giovani protagonisti ricevono all’inizio della vicenda e che spesso viene ignorato. Le similitudini tra Halloween e Psyco non si esauriscono qui: per il ruolo di Laurie Strode, la babysitter protagonista del lungometraggio di Carpenter, venne infatti ingaggiata Jamie Lee Curtis, figlia di Tony Curtis e Janet Leigh, l’attrice bionda di Psyco. L’unico vero attore professionista del cast fu Donald Pleasence il quale, dopo aver inizialmente espresso alcuni dubbi in merito al copione e alla sceneggiatura (“Non so perché abbia accettato il ruolo, non capisco neanche il mio personaggio. Se sono qui lo devo a mia figlia che suona in una rock band e che ha apprezzato molto la musica di Distretto 13”), accettò la parte stringendo una forte amicizia con il regista.
 
Per la maschera del maniaco, Debra e John pensarono a un vecchio film francese del 1960 intitolato Occhi senza volto, nel quale la protagonista indossava una maschera spaventosa per la totale assenza di tratti somatici. Lo scenografo Tommy Lee Wallace si recò in un negozio di maschere e ne comprò un paio, una delle quali era quella indossata dal personaggio del Capitano Kirk di Star Trek. Per renderla più sinistra apportò alcune ma decisive modifiche: allargò gli occhi, strappò le sopracciglia, cotonò i capelli cancellando le basette e rese ancora più bianca la maschera stessa. Nasceva così Michael Myers, la personificazione più malvagia del Boogeyman. Myers doveva essere impersonale, amorale, malvagio e anaffettivo. Un sociopatico, fondamentalmente. L’idea venne a Carpenter durante la visita ai pazienti più gravi dell’ospedale del Kentucky per il corso universitario di Psicologia. “C’era un ragazzo di 12, 13 anni con uno sguardo che non dimenticai facilmente, il quale mi ispirò una battuta che scrissi per Pleasence che recitava più o meno così… Ho conosciuto un bimbo di 6 anni con un volto pallido e senza emozioni, aveva gli occhi nerissimi come quelli del diavolo, perché ho capito che dietro quegli occhi c’era il male”. La maschera di Myers venne indossata dall’attore (futuro regista) Nick Castle. Le movenze di Castle erano incredibilmente leggiadre, nonostante la sua imponente stazza: la cosa non deve stupire perché il padre dell’attore era stato il coreografo di Fred Astaire.
 
Ogni buon horror che si rispetti è legato a una colonna sonora che rimane impressa negli anni. Halloween non sfugge a questa “regola aurea”. Carpenter era un buon tastierista e aveva un padre professore di musica. “Da piccolo mio padre mi comprò due bongos, dandomi qualche lezione. Fu da quelle lezioni che creai quel ritmo sincopato che poi trasferii alle tastiere, inserendo in seguito il sintetizzatore”. La colonna sonora venne composta in soli tre giorni da un Carpenter particolarmente ispirato.
 
Halloween, pur essendo totalmente privo di effetti speciali, mantiene una tensione narrativa e visiva altissima. Myers, l’uomo ombra, è ovunque, anche quando non si vede. Indimenticabile l’iniziale piano sequenza in soggettiva del bambino girato con la steadicam: la cinepresa si avvicina alla casa (stiamo vedendo con gli occhi di Myers) prima osservando il retro della stessa, successivamente il suo interno; tre anni prima, nel capolavoro Profondo Rosso, Dario Argento aveva sublimato questa tecnica regalandoci sprazzi di grande cinema. Curioso come a interpretare la scena e a impugnare il coltello fu la stessa Debra Hill, perfetta nella parte anche per via delle piccole mani.
 
Il film si sarebbe dovuto concludere con l’immagine del cortile vuoto che faceva intuire come Myers si fosse dileguato, ma il montatore, Tommy Lee Wallace, suggerì a Carpenter di recuperare alcuni fotogrammi già girati in precedenza raffiguranti location vuote, montandoli in sequenza. La cosa amplificò a dismisura il messaggio del regista, ovvero che il male non muore mai, avvicinando Myers al mito, svincolandolo, in parte, da una dimensione terrena.
 
Il film fu accolto inizialmente in maniera piuttosto fredda dalla stampa accreditata e nessuna major si offrì per distribuirlo. Tuttavia, con il semplice passaparola Halloween divenne uno dei film più visti, ottenendo incassi lusinghieri; la svolta avvenne al Chicago Film Festival, in seguito venne distribuito pressoché ovunque. Il resto è storia.
 
L’ultimo lungometraggio di Carpenter, The Ward, è datato 2010. Il regista, tuttavia, sembra rassicurare i fans: Sto lavorando a un paio di cose. Ma non farò niente per un po’, finché il mondo non torna alla normalità e si riprende”. Siamo in trepidante attesa!


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