Come un figlio - InEsergo

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09 Gennaio 2022 - Storie

Vizi e maneggi di un giovane nipote
 
Come un figlio
 
Foto di Enrica Savioli
Dilettissimo Giovanni,

Se ti scrivo, distogliendoti dai tuoi affari, è per una giusta causa, come potrai ben intuire. Ormai sei un giovanotto; gestisci fondi, proprietà. Hai lasciato la verde campagna per respirare la fuliggine della città e delle sue nuove macchine a carbone. Hai poco tempo per il tuo vecchio zio, che tanto vorrebbe abbracciarti come faceva una volta! Più che mai ora comprendo come i tempi cambino in fretta. Eri un bambino allora, che della vita poco aveva conosciuto fuor di dolori e attese di nuovi lutti. E io ti accolsi così, senza voler null’altro in cambio; nulla, neppur l’epiteto di padre, per non far torto a colui che troppo presto dovette lasciarti. E sì che ho sempre pensato a te come a un figlio. Ma tutto questo lo sai; scuserai le malinconie di un vecchio. È di novità, di futuro che dobbiamo parlare.

Caro Giovanni, figlio mio, ecco qui il nodo. Già da tempo mi giunge voce di una tua simpatia per una giovane di buona famiglia. Benché viva in campagna, ho ancora conoscenze in città; conoscenze che, pur senza farmi menzione dell’identità esatta della giovane, mi hanno persuaso a parlartene apertamente. Mi hanno altresì assicurato che la giovane in questione non ha marito in città (queste le loro parole) e che prova la medesima simpatia per te, tanto che varie volte ti hanno visto in sua compagnia girare nottetempo e persino, persino dico, entrare insieme nella tua casa. Il loro tono era preoccupato, pregno di urgenza, ma li ho pregati di calmarsi. E, in fondo, lo ammetto, la notizia mi ha dato orgoglio e soddisfazione, anziché scandalo.  Son stato giovane anch’io, sai? E tuttavia, come vedi, la tua condotta ha dato scalpore.

Figlio mio, intendi permettere che ti considerino un libertino, uno sfaccendato? Perché, concedimi di ricordarlo, anche una frequentazione onesta e virtuosa, se indugia, incorre nel sospetto e, quel che è peggio, nella diceria. È vero che alla tua età certi impulsi del sangue sono quanto mai vivi, comprendo bene, ma questi possono essere soddisfatti da frequentazioni, per così dire, più plebee e più discrete. Ed infine la giovane: vuol corrompere anch’ella il proprio nome?

Sono preoccupato per te; e tu, sì, sei stato, a mio parere, troppo riservato; perché non me ne hai fatto mai parola? Vedi in che modo devo arrivare a sapere nuove che, riferite per tempo dalla tua voce, senza suscitare interesse di altri, mi avrebbero solo reso felice? Forse, proprio come un figlio, hai temuto finora il mio giudizio; me ne dolgo fortemente. Oppure, potresti pensare di esser troppo giovane per un passo così importante, ma il fatto è che la simpatia reciproca è cosa rara a trovarsi. Occorre perciò salvaguardarla e difenderla dall’invidia e dalla maldicenza; perché nulla è al sicuro se non dopo che si è dichiarati marito e moglie. Cosa credi? Anche di me dicevano male, da che io, già in là con gli anni, quando meno me l’aspettavo, ho trovato Ludovica. Come sai, non ha ancora ventitré anni. Ma c’è tra noi quella simpatia che tu hai con la tua giovane; e tanto ho voluto che l’ho sposata, benché non fosse di alta famiglia, e anche contro le rimostranze dei suoi, che le dicevano ch’era così bella, così giovane, e io così vecchio. Son già due  anni che siamo sposati, e nessuno osa dire più nulla.

E allora, cogli il dì, come diceva il poeta; stai sicuro che mi adoprerò personalmente perché tutto vada a buon fine. E c’è di più: in questi giorni, dalle poche informazioni ricevute mi son fatto un’idea piuttosto certa della tua giovane e ho in mente un paio di possibilità, non di più, che mi lasciano il margine del dubbio. Aspetto, perciò, questo sospirato nome e la casata di lei. Sappi che, quando ti sia liberato dai numerosi affari - e affanni! - della città, qui in campagna troverai gradita e affettuosa accoglienza. Ti porgo anche i saluti della ridente Ludovica, che so esserti molto affezionata. È andata appunto in città a trovare i suoi parenti e tornerà a giorni, ma sarà di certo qui quando vorrai venire in visita. In attesa di nuove da parte tua, il mio più sincero abbraccio.


Diletto zio,

ti chiedo di scusarmi per il mio prolungato silenzio. Tante cose sono accadute dall’ultima volta che ti ho scritto; tante che quasi io stesso fatico a riconoscermi. Ma contro tante buone nuove che sarei stato fiero di riferirti a voce, la noiosa voce del popolo ti ha fatto sapere l’unica che mi porta vergogna e ribrezzo. Proprio così, perché non è possibile che la mia vicenda conduca a un buon fine: ti posso dire che vi son di mezzo cose più grandi del casato e più importanti del chiacchierare della gente. La tua lettera mi ha gettato nella disperazione; per giorni ho pensato che tutto fosse perduto. Infine, mi ha soccorso il pensiero della tua indulgenza. Sono risoluto a chiarirti lo stato vero delle mie vicende.

Sappi, carissimo zio, che fu proprio ella, la giovane di cui dici, a intraprendere il tutto; come vederci e quando e dove, perché il fatto non fosse risaputo. Io, come un bambino davvero, mi son fatto prendere per mano, ed ella mi ha condotto in giardini di delizie non guardati dal severo Pudore. Ella è diabolica, certamente; e angelica allo stesso modo; quello che fa, lo fa per l’infelicità che dimora in lei. Perdonala, zio! Sii indulgente con lei come ti mostri con me. Il suo nome non riesco a fartelo qui, ma è lontano da ogni tua immaginazione.
Se mi accoglierai, sarò da te domenica prossima.         
Il tuo figliol prodigo.


E fu domenica.
Il calesse arrivò, fermò le ruote sulla ghiaia sollevando un leggero polverone e Giovanni scese. Lo zio era già lì ad aspettarlo: lo accolse preoccupato e subito lo abbracciò; poi lo condusse nello studio e lo fece sedere, mentre lui rimaneva in piedi a osservarlo.

“Caro Giovanni, figlio mio, eccoti qua. Ti trovo bene! Chissà come saresti adesso, se fossi vissuto in città! Tutto gobbo e storpio e con le mani imbrattate d’inchiostro!” disse con una risata profonda.
Giovanni sorrise. “Sì, zio, davvero!”
“Padre! Padre mi dovresti chiamare! Ma non fa niente. Perdona questa mia esasperazione. Tu mi fai preoccupare, eccome! E tuttavia, finalmente ci vediamo. Posso sperare che tu sia qui a togliermi quest’ansia dal petto?”
“Sì, zio! Ma temo che l’ansia si volgerà in disprezzo e disgusto. Disgusto per me, per la mia condotta. Ma spero anche nel tuo perdono.”

Lo zio iniziò immediatamente a girellare pensosamente per la stanza, agitando le mani, invocando i tempi malvagi, Dio, l’inesperienza dei giovani. Del discorso che fece Giovanni sentì ben poco, ma non ce n’era bisogno, perché era un discorso che conosceva bene. Lasciò dunque che terminasse e dopo qualche tempo lo zio smise di passeggiare, si fermò sui due piedi, sospirò. Allora ritenne di poter parlare e si alzò.

“Zio, ascolta: la giovane di cui ti parlavo... sono turbato a dirti il suo nome perché non so se ti piacerà.” “Ma tu devi dirmelo! Sei qui, in mia compagnia, cos’hai da temere?” “Ebbene, parlerò. Il suo nome è Adele.”
“Adele? Adele dei Lambertari?” Lo zio rimase un po’ pensoso. “Non era davvero nei miei sospetti, lo confesso. Ma è zoppa, per quanto ne so.”
“Sì, zio, è vero. Ma la simpatia reciproca…” “E non è neanche tanto giovane!” “Eppure...” “Certamente, certamente.” tagliò lo zio un po’ deluso. “Sono convinto di quello che dico, cosa credi? Va bene, vedrò cosa posso fare. Hai visto, Giovanni? Era così difficile fidarsi del tuo vecchio padre? Pensavi che non mi intendessi di donne, eh?” disse mettendogli una mano sulla spalla. “Ma ora torniamo in sala da pranzo. Dovremo pur mangiare qualcosa. E ci vuole il vino. Così forse ti convincerai a venire a trovarmi più spesso”.

Proprio fuori dalla porta trovarono Ludovica: in piedi, le mani conserte, il sorriso amabile, come se passasse di lì in quel momento. “Ludovica, diletta, sei arrivata a proposito.” “In verità, marito caro, stavo proprio per avvertirvi che il pranzo è pronto.” Mentre lo zio avanzava a gran passi verso la tavola, lei prese il braccio di Giovanni, lo strinse forte e gli sibilò, tra l’infuriato e il divertito: “Bravo, complimenti. Così la prossima volta mi toccherà anche zoppicare, per colpa tua.”

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