07 Marzo 2025 - Cinema
La miniserie Netflix racconta una terra primordiale che ha abortito il sogno americano
American Primeval e l’ombra di McCarthy

The thousand condemned to lie in the graves below / […] The dream not die, it had never lived
(da The Thousand Tombs of Western Promise – Wayfarer)
Non esiste vita senza spargimento di sangue. L’idea che il genere umano possa in qualche modo essere migliorato, che tutti possano vivere in armonia, è un’idea davvero pericolosa. Coloro che sono afflitti da questa nozione sono i primi a rinunciare alla propria anima, alla propria libertà.
C. McCarthy
La frontiera nell’America primordiale
Il 9 gennaio scorso, su Netflix, è stata rilasciata la miniserie American Primeval (America Primordiale o Primitiva, che tradur si voglia). Il prodotto è più che valido (dirige Peter Berg, classe ’64, versatile mestierante di Hollywood) seppur tarato, soprattutto nella sua seconda metà, da alcune facilonerie telefonate nella sceneggiatura (opera del pur talentuoso Mark L. Smith, giovane screenwriter che si era distinto una decina d’anni fa per simili, crude ambientazioni nel celebre The Revenant con Leonardo Di Caprio).
Al netto di ciò, la serie ha diversi pregi. In primis è illuminata dalla colonna sonora dei post-rock masters Explosions in the Sky (off topic: se non l’avete ascoltato, andate a recuperarvi il loro ultimo, splendido, End del 2023).
Secondariamente ha il coraggio di raccontare uno dei tanti episodi, tremendi e oscuri, della Storia Americana del XIX sec.: quello del Massacro di Mountain Meadows (Utah). Un eccidio (circa 140 morti, tra cui parecchie donne e bambini) invero piuttosto misconosciuto, perpetrato il 07 settembre 1857 ai danni di una carovana di pionieri inermi che si stavano spostando verso ovest. Ideatrice e autrice della strage, coadiuvata da un manipolo di nativi Paiute, la spietata Nauvoo Legion, milizia mormone (scopro solo ora che i mormoni si fossero dotati di milizie armate particolarmente sanguinarie) che, in quegli anni, costituiva il braccio armato dei coloni della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (l’altisonante nome completo per indicare i mormoni stessi) e che era in lotta con il governo federale guidato dal Presidente James Buchanan (il predecessore di Lincoln). I mormoni non ammettevano intrusioni nel loro progetto di costruzione sociale basato sulla loro personale interpretazione dei dettami biblici e, soprattutto, sulle prescrizioni contenute nel Libro di Mormon (J. Smith, 1830).
A far da sfondo ai diversi filoni del plot (come da tradizione delle serie, intrecciati tra loro fino allo scioglimento conclusivo) ma in realtà protagonista in tutta la sua magniloquenza, è l’imponente Natura del West nordamericano, tanto mozzafiato quanto selvaggia e inospitale. E, soprattutto, spietata e indifferente.
La pregevole tradizione del western “revisionista”
È, quindi, il mito della frontiera che in American Primeval viene ripreso e ri-raccontato: un epos che in realtà, oggi ci è ben chiaro, si è configurato come un ben più prosaico scontro per accaparrarsi terre e ricchezze. Le tensioni, sfocianti in lotte aperte, tra culture (nativi vs coloni) e quelle tra confessioni intra-protestanti non faceva prigionieri. In mezzo, tanti poveracci (fuorilegge, fuggiaschi, avventurieri e vari altri tipi di reietta umanità) che ne facevano le spese in termini di orrore vissuto e sangue versato.
Va detto che, quantomeno a livello cinematografico, gli States hanno saputo fare i conti con la Conquista del West: almeno dal 1970, anno di uscita dei capolavori Piccolo Grande Uomo e Soldato Blu, non è stata sottaciuta la brutalità con la quale l’Uomo Bianco ha plasmato questa grande fetta di Mondo. Senza l’epica idealistica, e poco realistica, del western classico, opere che hanno fatto scuola come Balla coi lupi (1990), L’ultimo dei Mohicani e Gli spietati (1992) hanno saputo traghettare il genere, alla luce di una nuova consapevolezza critica, nel Nuovo Millennio, sfornando qui altri immensi capolavori di western “crepuscolare” e revisionista come I segreti di Brockeback Mountain (2006) e, soprattutto, L’assassinio di Jasse James per mano del codardo Robert Ford (del 2007, il mio preferito).
E non dimentichiamoci, sempre nel 2007, di Non è un paese per vecchi dei fratelli-maestri Coen.
Un “coccodrillo” per C. McCarthy
Ecco, quest’ultimo titolo mi offre il gancio per rendere omaggio a un gigante della letteratura, mancato il 13 giugno scorso, all’età di quasi 90 anni: Cormac McCarthy. Per molti critici e colleghi (tra cui Stephen King), il più grande scrittore contemporaneo. In realtà, fuori dagli USA, McCarthy non è stato granché “filato”, almeno fino alla succitata trasposizione cinematografica, molto fedele, dell’omonimo libro (No country for old men) uscito due anni prima.
Ci vorrebbe un’enciclopedia per parlare dell’opera e, soprattutto, della poetica di McCarthy che, a pieno titolo, può essere ricompresa nell’alveo di quel “western revisionista” (detto anche anti-western) cui facevamo cenno sopra. In tal senso, consigliamo, almeno, la lettura del suo capolavoro indiscusso, Meridiano di Sangue (1985). Roba per stomaci (parecchio) forti.
Vi dirò, per chi scrive il Nostro non era particolarmente gradevole da leggere: stile asciutto, quasi asettico. Persino nelle descrizioni più crude e brutali dei numerosi assassinî che costellano gli intrecci dei suoi romanzi. Natura maestosa e indifferente alle sorti dell’Uomo che vaga in essa spinto più dall’istinto che dalla ragione o dalle emozioni. E capace perciò, senza quasi batter ciglio, di atrocità indicibili. Spinto spesso dalla bramosia di denaro, altro topic ricorrente in McCarthy, nonostante tale bramosia lo spinga verso la rovina e la morte, sua e dei suoi cari.
Pur non disdegnando altri filoni narrativi (si pensi all’ottimo post-apocalittico La strada, del 2006, anch’esso oggetto di una trasposizione cinematografica), l’habitat privilegiato per le narrazioni di Cormac rimaneva proprio quell’ampia falda di terreno desertico, una volta appartenente al Messico, situato tra gli stati del Texas e del New Mexico e dove la serie tv in oggetto è stata girata (anche se, fittiziamente, siamo tra il Wyoming e lo Utah). Una terra di frontiera, dove il sangue e la violenza, per McCarthy vero trademark della nascita della nazione statunitense, l’hanno sempre fatta da padrone. E nella quale lo scrittore volle addirittura trasferirsi ad abitare con la propria famiglia.
Quanto sono ancora primeval gli States?
Un lato primitivo, quello raccontato dallo scrittore di Providence e dal mccarthyano American Primeval che, in diverse forme e modalità, non ha mai abbandonato la “democrazia più grande del mondo”. A livello sociale, politico e culturale. E di cui abbiamo avuto una plastica rappresentazione il 20 gennaio scorso, nel discorso d’insediamento del 47° Presidente degli States. Per quanto possa valere (meno di zero), credo quindi che si debba fare un plauso ai tanti scrittori, sceneggiatori e cineasti statunitensi che sono stati capaci di guardare dentro se stessi, fare i conti con la propria Storia e con il concetto, troppo spesso abusato, di civilizzazione.
E a tal proposito, sempre in tema di Serie, ci piace ricordare The Terror: Infamy (2018) ambientata nei poco conosciuti campi di internamento voluti dopo Pearl Harbour da Roosevelt nel 1941-44, per rinchiudere circa 120.000 nippo-statunitensi, rei solo di avere gli occhi a mandorla.
Tornando ad American Primeval: la coriacea e resiliente Sara Rowell, interpretata da una straordinaria Betty Gilpin, si dirigerà infine con suo figlio verso Los Angeles e l’Oceano, colma di speranza per un futuro di serenità. E lo spettatore, dopo tutte le tragiche peripezie superate, spera con tutto il cuore che lo abbia realizzato, il suo sogno americano.
Dal canto nostro, propendiamo maggiormente per la pessimistica visione di McCarthy. E dei Wayfarer, band di Denver (Colorado) che amo molto, citata in esergo, che la Storia di quelle terre la conosce bene. Tanto che nei loro brani l’american dream, spogliato di ogni sacralità, è dichiarato morto. Anzi, mai nato (The dream not died / it had never lived). Arrivando a sentenziare che la terra delle opportunità è solo un camposanto con migliaia di tombe (Within in the land of opportunity / A thousand tombs await).