Americano, tra gotico e sogno
“L’America è il paese che amo più al mondo e per questo rivendico il diritto di criticarlo in perpetuo”
James Baldwin
Nell’immaginario collettivo gli USA sono sinonimo di una marea di icone, luoghi comuni, simboli, gadgets. Come non pensare al Ponte di Brooklyn (set cinematografico per eccellenza) con la sua “gomma del ponte”, all’aria condizionata a palla ovunque nei mesi estivi, a Starbucks, al 4 luglio, alla zucca di Halloween, agli immigrati in cerca di fortuna, alla Grande Mela con i suoi grattacieli e le luci sfolgoranti, ai grandi spazi aperti, a Hollywood, al forte senso patriottico, ai fast foods, allo slang newyorkese, ma soprattutto ai sogni, o meglio, a IL sogno americano.
È questa l’America che abbiamo sempre sognato di visitare? Probabile. La mia America, invece, si identifica da sempre con una persona: zio Giovanni, il classico “zio d’America”, volato in cielo pochi anni fa. È grazie alla sua voce roca intrisa d’emozione e logorata dalla vecchiaia che ho potuto immaginare - oserei dire vedere - in anticipo determinati luoghi, assaporando la cultura a stelle e strisce sin da quando, ancora adolescente, ero solito passare del tempo con lui alla “Chiana”, la nostra amata campagna, tra alberi stracolmi di agrumi, ulivi centenari e pizzate pantagrueliche in famiglia. Lì, col suo celeberrimo baracchino, rievocava gli anni della gioventù collegandosi con centinaia di stazioni radio per non perdere quell’american english che ancora mi sembra di sentire, verosimilmente nostalgico dei tempi che furono. Mio zio fu uno tra i tanti a riversarsi negli States all’inizio del secolo scorso in cerca di fortuna con la classica valigia piena di sogni, sospinto dall’idea di libertà (Lady Liberty ne è un’icona) e di un futuro idilliaco pennellato di lavoro e prosperità. Sono stati i suoi racconti ricchi di aneddoti a invogliarmi a volare oltreoceano per godere di quei luoghi che sembravano già magici ancor prima di mettervi piede.
Un giorno come tanti ho fatto tappa in una nota libreria cremonese, sorta di seconda casa per me, il cui forte legame non è stato reciso neanche dal dannatissimo periodo pandemico. Inevitabilmente l’occhio è caduto su un romanzo, Gotico Americano, che mi ha colpito per due motivi: la copertina spartana sulla quale campeggiava una didascalia insolita (Ti ho seguito fin dentro la pancia della balena, sotto tre strati di oscurità) e il titolo stesso, composto di due parole solo in apparenza così distanti. Gotico mi ha sempre fatto pensare a qualcosa di austero, grande ma chiuso, e americano a innumerevoli spazi aperti accompagnati dalla sensazione che tutto sia possibile.
Come quasi sempre mi capita quando decido di comprare un romanzo sono andato a sensazione, cercando di percepire la classica vibrazione positiva. Non sapevo quindi cosa aspettarmi ma sin dalle prime pagine, un po’ per lo stile fluido e ricco e anche per le tematiche affrontate, questo romanzo ha avuto su di me un effetto deflagrante.
Si tratta di un’opera prima. L’autrice, Arianna Farinelli, nasce a Roma nel 1975, vive a New York dal 2001 e dal 2010 insegna al Baruch College della City University. La vicenda gravita attorno alla storia di Bruna e Tom: Bruna nasce a Roma e si trasferisce negli States per amore di Tom, figlio di una insegnante universitaria ormai in pensione e di un noto medico. Quella che avrebbe potuto essere una storia d’amore con tutti i crismi viene continuamente osteggiata e ostacolata dai genitori di lui, accecati da pregiudizi della peggior specie, abbacinati da un atteggiamento razzista e fortemente capitalista (solo luoghi comuni?). Anche per le evidenti difficoltà che si frappongono fra i due, Bruna cade nell’adulterio verso il marito, il quale a sua volta fa lo stesso, tradendola in continuazione.
Non esistono vincitori né vinti in questa storia, nella quale l’autrice disintegra senza mezzi termini l’idea di “sogno americano” descrivendo una multietnicità solo di facciata. La stessa multietnicità per la quale a New York i bianchi stanno diventando la grande minoranza mentre gli ispanici rappresentano già oggi quasi un terzo della popolazione. Il romanzo si ambienta in piena fase Trump (da poco eletto) e il clima non è certo dei migliori.
La Farinelli rievoca anche le enormi difficoltà incontrate dai cinque e passa milioni di italiani che sbarcarono a Ellis Island (la “porta per gli USA”) per integrarsi nel tessuto sociale a stelle e strisce, acquisendo a poco a poco credito agli occhi del popolo ospitante che da sempre guarda con scetticismo le cosiddette minoranze. L’amore e l’odio sono spesso i due lati della stessa medaglia. Parlare in maniera non propriamente idilliaca di qualcosa ma con cognizione di causa è spesso sintomo d’amore. Ne scaturisce, come avrete capito, un libro durissimo che andrebbe letto con molta attenzione.
Gotico Americano è in buona compagnia. In ambito cinematografico esistono numerose denunce delle problematicità e dissonanze dell’America. Il consumismo e il capitalismo più sfrenato, per dire, sono descritti egregiamente in un paio di pellicole: Wall Street ed Essi Vivono, rispettivamente di Oliver Stone e John Carpenter. Arido e spietato il primo, distopico il secondo: in entrambi i film il sogno americano è visto in un’accezione negativa.
L’idea stessa di integrazione (legata al concetto di multietnicità) sembra essere più un luogo comune che una solida realtà. Gotico Americano affronta questo tema con lucidità senza interessi super partes. Durante il mio viaggio a New York, ad esempio, rimasi colpito dalla grandezza di Chinatown, un intero quartiere che conta ben 200.000 persone di etnia cinese nel quale praticamente vidi solamente negozi cinesi e cinesi per le strade. Mi chiedo se sia il caso di definire tutto ciò integrazione e non ghettizzazione. La questione è spinosa e andrebbe approfondita in altra sede. Di certo nel corso del mandato Trump determinate paure e contraddizioni dell’americano medio si sono ridestate in tutta la loro problematicità, come la diffidenza verso lo straniero (specie se immigrato). L’integrazione tuttora sembra qualcosa di facciata.
Nel mio cuore restano forti il senso di ospitalità che ho avvertito sin dal primo istante negli States, la vita frenetica, elettrica della metropoli che non dorme mai, le luci che ti danno l’idea di essere catapultato in un immenso luna park a cielo aperto. Avvertivo un senso di leggerezza dovuto al fatto che l’americano medio probabilmente bada più al sodo e si fa meno scrupoli di un latino nell’esprimere il suo pensiero. Ancora oggi perdura soprattutto l’idea del viaggio che accorcia le distanze e rende tutti un po' più simili. Noi siamo loro e loro siamo noi è infatti il messaggio di speranza di Arianna Farinelli, che mi sento di condividere in toto. In questa fase della nostra vita, squarciata brutalmente da una pandemia che in taluni casi ha diviso ancora di più gli esseri umani, anche nelle cose legate al quotidiano, non dovremmo mai dimenticare la nostra natura: quella, appunto, di esseri umani.