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18 Marzo 2023 - Storie

Penso quindi sono… intelligente?
 
A(h)i
 
“Credeva fermamente che prima o poi la scienza avrebbe realizzato veri e propri esseri umani pensanti, esattamente come noi. E non era ancora tutto: sotto sotto era persuaso che ognuno di noi, persona in carne e ossa, fosse in sostanza un essere artificiale.”
(Jostein Gaarder - L’enigma del solitario)

“Le canzoni nascono dalla sofferenza e gli algoritmi non soffrono.”
(Nick Cave)

“L’intelligenza artificiale non è vera intelligenza perché non ha coscienza.”
(Roberto Mercadini)

Le volte in cui, spossato nell’animo, mi chiedo se sia intelligente far riposare il pensiero, subito Renè detto Renato s’acciglia: “Eh no, se non cogiti non sei!”
Lungi da me dubitare del Maestro, accolgo la sua affermazione e il suo metodo d’indagine, dubitando quindi della sua veridicità. E paradossalmente la confermo, perché dubitare è continuare a pensare. Bravo Renatuccio, se tu fossi un personal trainer io sarei un body builder, che tuttavia al mattino continua a svegliarsi in preda a una stanchezza atavica.

Se il pensare fa esistere ed è quasi impensabile smettere di pensare, non è detto che sia un atto intelligente e sano a prescindere. Ma cos’è intelligente e cosa significa pensare?

D’un tratto sento bussare alla porta.
“Il bastimento è pronto. Possiamo partire” avverte una voce.
Sì perché farsi queste domande è una traversata oceanica su una barchetta di carta, con l’ardire da capitano e l’esperienza dell’ultimo dei mozzi. Chiedo a Renato di accompagnarmi.

Appena usciti dal porto delle comodità e superata la diga foranea delle certezze mai messe in discussione, il mare non è più olio e catrame ma un essere vivente del tutto indifferente ai progetti, alle mire di conquista, all’ego umano.

“Stai divagando” mi fa notare Renato.
“E divagare non è anche pensare?”
“Dì un po’, hai studiato i miei libri?”
“No, ho scrollato Wikipedia”
“Allora non pretendere che io ti risponda con in bocca tue elucubrazioni. Lasciami piuttosto godere la vacanza, cioè l’essere vacante, assente, in beato silenzio”.

Il primo approdo sicuro che incontriamo è la baia dell’etimo. In questa terra ancestrale da ogni parola parte un filo di seta, sovente così sottile da essere quasi invisibile. E infatti nel tentativo di inoltrarmi, sento il corpo avvolto in un’enorme ragnatela.
Renato coi piedi in ammollo se la ride sotto i baffi.

Ho sentito dire che un problema complesso è in realtà un insieme di problemi semplici.
Così smetto all’istante di contorcermi nell’infinita matassa che m’imprigiona da quando siamo sbarcati sull’isola. Guardando con più attenzione noto che ogni filo proviene dall’interno e in varie diramazioni raggiunge il mare, laddove s’immerge e continua a perdita d’occhio.

Come farò a trovare i fili del pensiero e dell’intelligenza?
Un ibis vola sopra di me verso il bosco, forse in cerca di acqua dolce. Decido di eleggerlo a guida, scegliendo la trama che va nella sua direzione. In questa strana terra, i sentieri e le piste non si misurano in metri o chilometri, né in ore o giorni. Semmai in lingue, incontri, contaminazioni ed esperienze.

L’uccello, fermandosi spesso, sembra aspettarmi, fino a che non inciampo su un oggetto da cui origina il legame che sto seguendo a ritroso: una bilancia. Su di essa c’è scritto pensāre e poi poco sotto “intensivo di pendĕre: pesare; in seguito: ponderare, esaminare”. Eureka!

Quindi l’origine del pensare deriva da una stima della forza di gravità: ”Peso quindi sono!” Esclamo, confidando nel senso dell’umorismo di Renato.

E l’intelligenza? Sarà sicuramente qui vicino.
Scruto, m’arrampico, sollevo, scavo e la ricerca comincia a pesarmi sugli occhi e le membra.
Finalmente un filo pare condurmi all’etimo del termine intelligenza. Non lo perdo di vista, nonostante il buio cominci a scendere sull’isola. Tanti (troppi) oggetti e concetti ne rimangono appesi senza però esserne l’essenza. Stacco dal filo e metto in tasca: legumi, allegati, collezioni, eleganze, elezioni, selezioni, letture e negligenze: tutti collegati al verbo lègere che, insieme a inter forma il latino intelligere. E poi ancora comprensioni, elaborazioni astratte, giudizi, soluzioni, astuzie e vivacità mentali, persino intese segrete e accordi illegali o immorali. QI, QE, bombe intelligenti e intelligenze artificiali.

Le mie tasche traboccano e gravano sui passi ormai di piombo. Senza più una goccia d’energia continuo a tenere stretto il filo che mi riporta, a notte fonda, al punto di partenza: la spiaggia.
Ho girato intorno come un imbecille. Sono talmente frustrato che blatero contro tutto e tutti, me compreso: “Tu, essere umano, hai davvero bisogno di questa zavorra per sentirti smart? Tu che hai creato la bomba atomica e l’opinionismo, pensi di essere più intelligente di un sistema operativo?”.

Dopo essermi calmato scorgo la sagoma di Renato appisolata all’interno della barca e uno strano tipo sulla battigia che gira intorno al suo bastone. Ha un insolito copricapo, sonagli da giullare nel vestito e una bisaccia, mentre un gatto lo segue nel girotondo. Mi ricorda qualcuno, qualcosa.
“Posso sapere chi sei?” Chiedo avvicinandomi.
“Io sono io e tu sei tu” risponde.
Penso sia un po’ matto.
“Le Mat, Le Mat! Io sono io e tu sei tu!” E continua a girare attorno al suo bastone.
Mi arrendo e, dopo aver svuotato le tasche da tutti gli oggetti e concetti raccolti, appoggio le terga sulla sabbia. Le Mat con un salto mi è dappresso:
“Trovato molte cose, vedo!”
“Troppe. Ne cercavo una sola e non è tra queste”.

Ascoltiamo silenziosi le onde, poi il tipo strambo ruota in avanti la spalla sinistra, distende braccio e avambraccio ad un’inclinazione di circa 45° rispetto al suolo, svolge le tre falangi e allunga l’indice davanti a sé. Osservo attentamente tutto il gesto dalla clavicola fino alla punta del dito. Lui se ne accorge e mi corregge il tiro: “La Luna, non il dito, la Luna… guarda che bella!”

“Oh sì giusto, la Luna… che stupido”.


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