Una processione - InEsergo

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17 Aprile 2023 - Storie

Le fatuità di una comunità e il suo santo protettore
 
Una processione
 
Il primo trombone smaniava vistosamente mentre adocchiava i negozi sulla strada. Lo sentiva: era tutto rosso in volto e col fiato corto, ma doveva, doveva continuare a spingere aria nel suo strumento ponderoso; e lo faceva, da bravo soldato di sua maestà la musica; e ogni secondo in più lo tormentava il pensiero di non poter tenere ancora a lungo sulla breccia: gli serviva giusto un minuto di pausa per scappare in un qualsiasi locale.

Ma sapete voi quanto conta il desiderio di uno dentro una folla indistinta? Poteva interrompere tutto, affermare la sua volontà contro l'autorità che lo voleva docile a eseguire i pezzi del programma? In quel momento decise di sì. "Ehi, Domenico!" Ma quello non lo sente. "Ehi!" gridò più forte. Domenico, che era alla sua sinistra, flauto traverso, gli dà un'occhiata interrogativa, e lui ne approfitta per comunicargli, a cenni bruschi del volto e con gli occhi sparati in fuori, che proprio non ce la fa, che bisogna che si fermino tutti un attimo. "Eh?" gli risponde Domenico; e contrariato distoglie lo sguardo. "Domenico, porca miseria!" grida in due tempi per non saltare le battute del trombone. Ma quello non gli dà più retta. In effetti, ha scambiato quell’aria stravolta per un rimprovero, un rimprovero severo e lo sa già da solo di aver provato troppo poco, grazie tante. "Maledizione!" pensa il trombone.

Intanto il capobanda, con i capelli bianchi e la faccia rugosa, gli occhi celesti piccoli e il colorito rosso mattone, si è girato a guardarli intimando al primo trombone, che ancora cercava di farsi sentire, come uno scolaretto alla verifica, di smetterla immediatamente. E qui il nostro trombone dovette, per il momento, adeguarsi. Tutto intorno alla banda i paesani affluiscono come flutti tagliati da una nave; quelli che la seguono a ranghi larghi sono gabbiani che al tramonto scortano i pescherecci in porto. È in trappola. Getta un'occhiata disperata sulla destra per cercare un varco: al diavolo il programma, quando chiama chiama.

Accanto a lui un omone alto e con la fronte sudaticcia tira un bambino per la mano che ha l'aria imbronciata. Subito dietro, la signora spinge il passeggino vuoto in cui aveva messo la borsa e il borsello del marito, ma agganciati alle cinture di sicurezza, perché lì nella confusione non si sa mai. È stanca, teme di avere le ascelle sudate, sotto la giacchetta corta nera molto in stile che si è ostinata a mettere, e ha lo sguardo assente di chi vorrebbe essere altrove, forse da sola. Di certo non si è accorta di come la sta guardando, da qualche tempo, un quarantenne celibe poco discosto. La trova di una bellezza sensuale, un po' sfacciata, e non può fare a meno - e questo solo in effetti poteva fare - di catturare ogni dettaglio della sua figura, per farne un ritratto che gli servirà di lì a poco. E ancora dietro di lui i suoi genitori, con i capelli bianchi e il passo stanco, si guardavano in giro maledicendo la ressa, il caldo, l'età e di aver avuto un figlio strano. Tutto intorno, avanti, di lato, insieme o scomposti, famiglie più o meno grandi, coppie di amici con pargoli al seguito, drappelli di ragazzini che svicolavano via dai genitori per giocare.

Chi guarda, chi è guardato, chi spera di esserlo. Chi vuole solo tornare a casa. Una processione nella processione, si sarebbe detto. Meglio, una ragnatela, perché in ogni paese anche tra chi non si conosce si viene a creare un legame di un qualche tipo. Qualcuno la chiamerebbe comunità, se solo si vivesse insieme. Ed io? Io sono il Santo. Mi portano in giro tre volte l'anno e in quelle mi fanno pagare col mal di mare la mia quieta esistenza nella nicchia dell'altare maggiore. E poi tutta questa folla! Io, che ero un eremita! Ma la festa è la loro e io sono il pretesto, che mi piaccia o no. Devo farmi trascinare in mezzo a questo formicaio che suda, sale sulle scarpe degli altri, e parla, parla, parla, ciascuno quasi urlando per sovrastare le chiacchiere intorno, e su argomenti di cui non si trova la necessità e a volte la logica. La frivolezza dei miei compaesani la fuggivo da vivo, e mi disgusta da santo. Ma c'è altro che l'umanità sa offrire. Ad esempio, mi commuovono queste signore qui davanti. I mariti hanno volti di un dolore composto, rassegnato. Loro invece mi guardano con i loro occhi rossi e gonfi e le mani giunte. Mi vien voglia di piangere anche a me. E lì di lato, abbastanza lontani, una coppia che quasi galleggia nella folla, tanto sono innamorati. Beati loro!

Ma che fine ha fatto il primo trombone? Ah, eccolo lì: sta esplodendo, poveraccio! Si arrivava a una curva a gomito. La folla assiepata a sinistra si appiccicò l'uno all’altro e rispose spintonando. A uno scossone più forte degli altri, cadde l'aureola al Santo. Stupore, senso generale che sia segno di cattivo augurio. Tutto quanto si ferma, compresa la musica. Nello scompiglio che si crea, il primo trombone scompare tra la folla. Solo Domenico se ne accorge.

Molte mani appiccicose mi toccano, cercano di arrampicarsi seguite da corpi panzuti e in canotta. Mani devote cercano di riattaccarmi l'aureola alla bell'e meglio. Alla fine, ci riescono. Intanto il primo trombone esce con passo trionfale dal bar di un suo conoscente - erano compagni alle medie, il primo trombone un tempo era uno studente quasi brillante - e senza fretta rientra nei ranghi. È la manifestazione stessa del sollievo. Almeno lui ce l'ha fatta. Ed ecco che tutto ricomincia. Malconcio e mezzo nauseato, torno a navigare sulle teste di tutti. Voi, ragazzine, smettete un attimo di ridacchiare e scansatevi! Fortuna che la processione sta finendo. Vedo la chiesa in lontananza e mi pare un miraggio. Piano, fate piano, non mi fate cascare sul più bello. Ecco, così. Ora si gira, su.
Pronti?
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