I primi del mese - InEsergo

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29 Febbraio 2024 - Storie

Incontri e misteri dalla finestra del quarto piano

I primi del mese
  
1° marzo
 
I pali della luce sembravano star lì perché proprio non potevano farne a meno, erano svogliati e ingobbiti, come i liceali alle otto del mattino.
 
Ho sempre avuto la netta sensazione che il mondo si allargasse, allontanandosi sempre più da casa mia. Da quel posto, da quel bar al centro della piazza bianca, da quelle sedie di legno eternamente occupate sempre dalle stesse persone.
 
Non sono mai stato particolarmente furbo, né ambito; sono sempre stato simile alla carta da parati. Citando un vecchio fumetto, “mia madre mi scambiava sempre per mio fratello, anche se ero figlio unico”.
 
Sono tappato in questa vecchia casa da sempre, da che ho ricordi. Finita la scuola non sono più uscito molto volentieri; qui ho tutto, ho la musica, ho i film, ho i miei libri e il mio cuore malandato. Mia madre non mi faceva mai giocare con gli altri bambini; il risultato è che gli altri hanno imparato a vivere senza di me e io per tutta risposta ho imparato a vivere senza di loro.
 
Non sono mai stato davvero bambino, ero una persona bassa e silenziosa, un adulto precoce, un anziano affrettato, un Benjamin Button senza nessun curioso caso.  
 
C’era questo vecchio portone davanti alla mia finestra; da questo portone molti entravano, ma curiosamente pochi uscivano. A pensarci è strano, ma forse semplicemente c’era un’altra uscita, c’è sempre una via d’uscita, o per lo meno questa è un’illusione che molti amano coltivare.
 
Ma sempre da questo portone, una volta al mese, usciva la donna della mia vita, almeno credo fosse lei, non ho mai avuto tutta questa vita.
 
Ogni volta è come morire e stasera sono morto di nuovo, muoio sempre i primi del mese.
 
È una coincidenza da cui è difficile sfuggire, io e Lei ci vediamo sempre i primi del mese. Incrociamo i nostri sguardi mentre il traffico scorre inesorabile e dalle automobili ferme escono musica, parolacce e bestemmie. Lei porta fuori un enorme sacco d’immondizia e io fumo una sigaretta appoggiato alla ringhiera del mio balcone.
 
Ogni volta è come morire; i lampioni illuminano pigramente la strada a causa delle lampadine a basso consumo, tutto è circondato da una luce pallida e smorzata, triste e piatta, come un grosso ospedale, come un gigantesco luogo di piatta sofferenza.
 
Non mi spiego il perché di questa sensazione fortissima allo stomaco e non mi spiego perché la vedo solo i primi del mese; potrei ipotizzare che le piace vivere nella sua immondizia 20 giorni al mese, ma forse sono solo distratto, forse la noto solo i primi del mese perché è una data ottimale per “morire”: hai ancora tutto il mese davanti e la gente così ha tutto il tempo per rimpiangerti e ricordarti per quello che non eri, o nel mio caso hai tanto tempo per ragionare e convincerti che ci deve essere un motivo recondito, un disegno del destino o forse non c’è spazio per il destino e i giorni sono lunghi, quando aspetti.  
 
La scena è sempre uguale, sempre meravigliosamente uguale. La ragazza a fatica trascina quel sacco nero, una ciocca di capelli le precipita sul viso, la sposta, poi guarda in alto e sorride.
 
Lì forse il mio cuore si ferma. Nel frattempo, un tipo su una macchina rossa manda al diavolo qualcuno.
 
Do l’ultima boccata alla sigaretta e dopodiché sorrido anch’io, ma il mio tempismo è sempre pessimo e mentre apro la bocca da un angolo all’altro lei è già sparita dentro il portone; e io sono ancora morto qui fuori, a boccheggiare manco fossi un pesce fuori dalla boccia.
 
A tra un mese, spero.
 
 
1° aprile
 
Ho una certa ansia, l’aspetto e il cuore mi batte forte, sembra avere un ritmo cadenzato, sembra quasi perdere un colpo ogni volta; tra un battito e l’altro una piccola esitazione: emozione, ansia, amore, un principio d’infarto?
 
Eccola uscire dal portone: è bellissima, oltre ogni ragionevole dubbio, è bellissima, con quella tuta sporca, con quei polsi stanchi, la faccia stravolta e madida di sudore, ma trova sempre il tempo per guardare su, fino al mio balcone, e sorridermi. Questa volta il sacco sembra particolarmente pesante, sembra meno leggiadra dello scorso mese, forse il tempo sta appesantendo anche lei, ma anche la fatica le dona.
 
Il sacco sembra dannatamente pesante: sarebbe giusto scendere e darle una mano, sarebbe gentile, un gesto da ricordare, ma Lei una mano ce l’ha già e sbuca proprio fuori dal sacco nero. È una mano grassoccia, poco gentile, una mano che non ha l’eleganza e nemmeno il colore vivo e lievemente arrossato dalla fatica che potrebbe avere una persona viva.  
 
È una mano livida, morta, inerme.
 
Lei si accorge del problema ma non cerca di nasconderlo, guarda su, il suo viso si fa truce, i suoi occhi diventano gelidi e mette l’indice della sua mano sinistra perpendicolare alle labbra; non sono bravo a cogliere i segnali, ma quel segnale l’ho imparato alle elementari.
 
Scendo giù le scale e di colpo sono davanti a lei, davanti al sacco nero. Il mondo si è fermato, non passa più una macchina, le sedie davanti al bar sono vuote, il mio cuore batte cadenzato, sembra una canzone che conosco, ogni battito un’esitazione.
 
Quegli occhi, i suoi occhi, sembrano contenere tutto il freddo del mondo.
 
Ma io non rinuncio a morire ogni primo del mese, non rinuncerò al nostro appuntamento, e con un gesto risoluto, che non mi appartiene, rificco la mano morta dentro il sacco nero. Adesso so perché molti entrano in quel palazzo ma pochi escono, adesso so, adesso so un sacco di cose.
 
Ma come per ogni cosa ho l’illusione della scelta e questa cosa ho scelto di fingere di non saperla e davanti all’inverno dei suoi occhi faccio una scelta ben precisa: metto anch’io l’indice perpendicolare alle labbra, perché va bene non essere furbi, ma quel gesto lo impari al secondo giorno di elementari. Al secondo giorno di elementari fai già in tempo a essere solo, ma non ancora a essere stupido.
 
Compiuto il gesto inequivocabile vorrei tornare su, ma lei mi blocca, mi stringe il polso e mi abbraccia forte, non fortissimo, un abbraccio da 5, massimo 5 e mezzo, non era un addio, né un arrivederci, era un abbraccio di circostanza.  
 
Non uscivo da anni e quando l’ho fatto non le ho nemmeno parlato. In realtà era meno bella di quanto credessi, era più bella dal quarto piano, era più bella come ipotesi, ma ormai la amo e non posso fare la figura della persona incoerente.
 
Ci vediamo il mese prossimo, ma stavolta stai più attenta Amore mio.



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