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18 Marzo 2024 - Musica

I 200 anni della Nona di Beethoven
 
Abbracciatevi moltitudini!
 
“Gioia, bella scintilla divina, / figlia dell'Eliseo, / noi entriamo ebbri e frementi, / o celeste, nel tuo tempio. Il tuo incanto rende unito / ciò che la moda rigidamente separò / i mendichi diventano fratelli dei principi  dove la tua ala soave freme. / Abbracciatevi, moltitudini! / Questo bacio vada al mondo intero! / Fratelli, sopra il cielo stellato / deve abitare un padre affettuoso”.
An die Freude”, F. Schiller – 1785

Il prossimo 7 maggio cadrà il 200° anniversario dalla prima rappresentazione, al Teatro di Porta Carinzia a Vienna (costruzione ideata dall’architetto bolognese Antonio Beduzzi, poi demolita nel 1870), della celeberrima Opera 125 di Ludwig van Beethoven. Sì, insomma: la Sinfonia n.9 in re minore, altrimenti detta, per antonomasia, la Nona. O Corale, posto che fu la prima sinfonia a inserire, nel suo quarto e ultimo movimento, una parte cantata.

Il testo della suddetta parte cantata riprendeva l’Inno alla Gioia di Friedrich Schiller, stralcio del quale abbiamo riportato in esergo (e il cui riadattamento è a tutt’oggi, immeritatamente, l’inno dell’U.E.)

Probabilmente la Nona è una delle massime, se non la massima, espressione musicale raggiunta dall’Uomo da quando è apparso sulla faccia della Terra. Ma la sua importanza non è solamente artistica. Essa ha una valenza che va molto al di là dell’aspetto musicale.

Questo perché venne composta e rappresentata nell’Europa post-napoleonica, cioè in piena Restaurazione, nell’allora Impero Austriaco (progenitore dell’asburgico Impero Austro-Ungarico), sotto la corona di Francesco I. Questi, in realtà, affaccendato in altre più nobili faccende che non fossero gli intrighi di palazzo, delegò i pieni poteri politici al famigerato Klemens von Metternich, il più importante diplomatico dell’epoca. Metternich, nella gestione della Cosa Pubblica, non lesinò metodi antiliberali, ricorrendo senza tentennamenti alla polizia segreta per reprimere i dissidenti e alla censura delle manifestazioni artistiche non gradite al Regime.

La Nona lo era appieno (una manifestazione artistica non gradita, intendo), ma Beethoven, semplicemente, non poteva essere censurato. Per la sua fama e per il suo genio, già ampiamente (ri)conosciuto. E anche perché, nonostante i natali tedeschi, di fatto egli era un viennese acquisito già dal 1792, cioè da un trentennio abbondante.

L’audacia nell’inserire quei versi schilleriani nel suo componimento, si capirà, non fu affatto banale. Perché la freude del titolo non va intesa come semplice felicità d’animo e/o gaudente spensieratezza bensì come uno stato dello Spirito che, con consapevolezza, si è liberato da ogni negativo influsso verso il prossimo (e quindi verso se stessi). Odio e cattiveria, diffidenza e pregiudizio, venivano spazzati via da quell’epica esclamazione Abbracciatevi, moltitudini!, in un afflato reso ancor più efficace dalla visionaria potenza della musica beethoveniana. In una fase storica nella quale le monarchie europee cercavano di tornare allo status pre-1789, ristabilendo i sistemi di governo messi in discussione dalla Révolution francese, comprenderete che il messaggio della Nona si configurava vieppiù rivoluzionario, appunto. E, come tale, pericoloso per l’ordine costituito.

Alla luce di ciò, non ci sembra esagerato affermare che Beethoven, parafrasando un’opera del celebre filosofo e saggista franco-bulgaro Cvetan Todorov, sia stato un vero e proprio avventuriere dell’assoluto. Uno di quegli uomini capaci di infondere, con la propria produzione artistica, quel senso di tensione verso il Bene, il Bello e l’Assoluto insito in ogni Uomo.

Guardandoci intorno oggi, l’attualità di quei versi schilleriani è talmente stringente e plastica che il ribadirla ci pare tanto ultroneo quanto spontaneo nel farlo. Distratti ad arte e indotti alla paura e alla diffidenza, forse proprio quel padre affettuoso solamente sa quanto avremmo bisogno di abbracciarci e ritrovare la scintilla divina.

A tal proposito, e in contrasto alla Bruttezza imperante, l’ascolto della Nona, epitome del Bello, induce ancor oggi, a due secoli dalla sua prima rappresentazione, alla speranza, di dostoevskijana memoria, che la Bellezza possa salvare il mondo. Rimane, questa, una (flebile) speranza, appunto; e probabilmente frivola, idiota, come “idiota” era il Principe Myškin, protagonista dell’omonimo libro, che tale speranza esprime.

Ma, con tutta probabilità, l’unica da coltivare. Come singoli e come comunità.



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