Gold pop era - InEsergo

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19 Novembre 2023 - Musica

Tra melodie indimenticabili e la sfida del presente musicale
 
Gold pop era
 
La musica cambia, si evolve (?), mutano gli interpreti, i gusti, la platea. Ma, oggettivamente un prodotto, se di qualità, resiste immarcescibile alle intemperie del tempo che trascorre inesorabile. Alle volte mi domando se avrei apprezzato allo stesso modo alcuni lavori discografici pubblicati nei primi anni ’90 se fossero stati editi ai nostri giorni.

Non posso non pensare ad alcuni album che hanno dato lustro alla nostra Pop Music, tutti sfornati in un periodo che mi piace definire come Gold Pop Era. Mi riferisco ad esempio a Cannibali (Raf), Oltre (Baglioni), Tutte storie (Ramazzotti), Malinconoia (Masini), dischi che, inaspettatamente, hanno messo d’accordo nel tempo la critica (anche la più severa, tranne in rarissimi casi) con la massa amorfa dei fruitori standard.  La risposta alla mia domanda è, ovviamente, affermativa proprio per la qualità indiscutibile di questa manciata di album. Non è affatto semplice produrre lavori del genere, abbinando melodie cantabili con arrangiamenti, produzione e suoni di massimo livello, specie se alle spalle non ci sono produttori/arrangiatori/autori/parolieri come Celso Valli, Giancarlo Bigazzi, Beppe Dati, Piero Cassano, Cheope, Adelio Cogliati.

Uno dei primi album ai quali mi sono accostato è stato Malinconoia (1991) di Marco Masini che, allo stato attuale, ha venduto oltre 1.200.000 copie: cifre fuori da ogni logica se rapportate al mercato discografico odierno. L’album venne stroncato in modo becero e arbitrario da una piccola parte della critica, che accusò Masini di essere uno iettatore, etichetta che gli rimase tristemente appiccicata per svariati anni. Musicalmente Malinconoia è molto ispirato: i testi di Beppe Dati sono come delle poesie e le musiche di Bigazzi sono pervase da un lirismo pazzesco. In heavy rotation in quegli anni andava nei juke box e su MTV l’omonimo singolo Malinconoia, un raffinato soul blues che se fosse stato cantato da un qualunque cantante di colore avrebbe fatto furore anche oltremanica. L’album è molto apprezzabile anche per le chitarre lukatheriane di Mauro Manzani.

Nel 1993 veniva pubblicato quello che, a parere di chi scrive, rappresenta l’apice compositivo di Raffaele Riefoli, in arte Raf, ovvero Cannibali, disco di un’eleganza imbarazzante. Il singolo apripista fu Il battito animale, che divenne ben presto un tormentone estivo, contribuendo a far vincere all’artista pugliese il Festivalbar. Al di là delle copie vendute, 600.000, l’album contiene nove tracce, tutte intrise di un pop estremamente elegante e colto. Troviamo ballad struggenti come Stai con me, La folle corsa, brani smaccatamente funk come Blu, il classico pop a là Raf (Mai o Due) e il pezzo forse più creativo tra tutti, Cannibali, caratterizzato da un inciso pop-rock con aperture armoniche di spiazzante bellezza nello special, molto rare da scovare nella pop music. Braido, Battaglia, Chiodo, Harrison, sono soltanto alcuni dei musicisti che hanno suonato su Cannibali.

Sempre nel 1993 venne dato alle stampe Tutte storie, anticipato dal singolo apripista Cose della vita col suo riff inconfondibile e il video girato dal noto regista americano Spike Lee. Si tratta dell’album più venduto nella discografia di Eros Ramazzotti (5 milioni di copie nel mondo e oltre 1 milione solo in Italia). La produzione venne affidata a una vecchia volpe come Piero Cassano (già membro storico dei Matia Bazar), il quale compose anche le musiche, mentre gli arrangiamenti furono opera di Celso Valli. Le liriche vennero, invece, stilate da un esperto paroliere come Adelio Cogliati e scusate se è poco. La chitarra è onnipresente. Ogni brano contiene fior di soli, non a caso alla sei corde vennero ingaggiati Steve Farris e Phil Palmer. Tutte storie è un tripudio della musica pop, con un songwriting dall’elevata fattura. Brani come Nostalsong, Favola, L’ultima rivoluzione non hanno assolutamente nulla da invidiare ai grandi classici del cantautore romano.

L’ultimo album che ritengo essere un unicum nel panorama del pop italiano risponde al capolavoro di Claudio Baglioni: Oltre (1990). Il disco divise non poco la critica, in quanto molto distante dal classico stile baglioniano a livello melodico e armonico, così come per gli arrangiamenti. Oltre è decisamente meno immediato di album come i diretti predecessori La vita è adesso e Strada facendo, due dei lavori più amati dai fans del cantautore. Oltre, d’altronde, ebbe una gestazione piuttosto travagliata e la sua pubblicazione venne più volte rimandata. Venne gradualmente compreso e metabolizzato negli anni e oggi viene considerato uno degli album più belli di sempre della musica pop italiana. Contiene brani meravigliosi come Stelle di stelle (duetto con Mia Martini), Navigando (con la fisarmonica di Richard Galliano), Domani mai (con la chitarra del grande Paco De Lucia). Talmente alta è la cifra artistica dell’album che meriterebbe un testo a parte.

Torniamo mestamente ai nostri giorni, quando il 2024 è oramai alle porte e io non mi sono ancora svegliato da un incubo fatto di autotune, trapper e similari. Il compito di noi adulti e depositari di tanta bellezza, quindi, è anche quello di far ascoltare ai nostri alunni, figli, nipoti, questi piccoli gioielli destandoli, fin quando si può, da un torpore che sembra non avere fine. Spiegare il perché la musica che si rispetti fa leva su concetti semplici ma sempre vincenti come: capacità di scrittura, vena melodica, cantanti che cantano (sembra tanto ovvio ma così non è) senza aiuti esterni (e che non si giustifichi l’uso dell’autotune in quanto proprio del genere trap, perché suonerebbe già come una dichiarazione di manifesta inferiorità), musicisti che suonano. E un aspetto in particolare: l’originalità, quindi l’ispirazione.

Qualcuno potrebbe obiettare, e lo capirei, che il Pop e la Trap sono due cose distinte e separate. Verissimo. Ma la Trap è ciò che oggi va per la maggiore e album come quelli sopraccitati finirebbero per essere tristemente snobbati dai giovani, perché alle loro orecchie suonerebbero datati. Più volte mi sono chiesto il perché: una delle risposte potrebbe essere che quella musica era suonata sul serio. I suoni elettronici, le sequenze, appaiono alle orecchie dei ragazzi molto più accattivanti e coinvolgenti. Una volta, invece, le sequenze erano impiegate più raramente e solo per motivi validi, comunque dettati da scelte di natura artistica. In ogni brano praticamente si poteva ascoltare un solo di chitarra, i testi erano lontani anni luce dalle banalità odierne. Ogni canzone era praticamente assimilabile ad un singolo. Adesso è molto raro ascoltare pezzi degni di nota oltre alla hit apripista. Ma, più semplicemente, manca la cultura musicale sin dalla piccola età. Una materia come Educazione Musicale andrebbe completamente riformulata a partire dai programmi ministeriali.


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