Dell'amore puro - InEsergo

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29 Dicembre 2023 - Attualità

Gli occhi degli animali e la nostra umanità smarrita
 
Dell'amore puro
 
“Se gli animali ispirano solo tenerezza, cos’è successo allora agli uomini?”
João Guimarães Rosa
 
Nel luglio del 2012 un eminente gruppo internazionale di neuroscienziati cognitivi e computazionali, neurofarmacologi, neurofisiologi e neuroanatomisti, ha firmato presso l’Università di Cambridge un documento che attesta come la scienza si sia allineata alle più modeste intuizioni di molti possessori di animali: mammiferi e uccelli, e molte altre creature, tra cui perfino i polpi, posseggono i substrati neurologici che generano ciò che chiamiamo coscienza, insieme naturalmente alla capacità di mostrare comportamenti intenzionali. La dichiarazione, presentata pubblicamente al Churchill College e firmata da tutti i redattori, alla presenza di Stephen Hawking, è passata praticamente inosservata agli occhi dei media nostrani, impegnati com’è noto a rinfocolare gli spiriti bassi da click ossessivi compulsivi. Eppure, il documento dovrebbe far riflettere chi blatera a vanvera che “sono solo animali”. Dovrebbe, appunto, dal momento che l’Italia ospita la più alta percentuale di analfabeti funzionali in Europa.  
 
Quando si è costretti a dire addio al proprio compagno a quattro zampe si prova un dolore che è difficilmente circoscrivibile. Chi ci è passato lo sa. I nativi americani, che per cultura e tradizioni sono sempre stati devoti al Grande Spirito, concepirono la leggenda del ponte arcobaleno; gli occidentali l’hanno in qualche modo fatta propria e la richiamano alla memoria transitando per i luoghi di dolore: lo studio veterinario durante un’eutanasia, il divano di casa quando rimane vuoto, le gabbie di un canile trafitte da ululati e pianti. Ci piace pensare che un giorno ci reincontreremo, che l’amato amico ci verrà incontro, accogliendoci, una volta terminata questa incarnazione. Peraltro, Ernesto Bozzano nella sua fondamentale opera Gli animali hanno un’anima? ha già portato prove, intorno alla metà del secolo scorso, della presenza di prerogative spirituali anche nel mondo animale, descrivendo dettagliatamente ben 130 casi di manifestazioni metapsichiche, molte delle quali riguardanti proprio la percezione visiva e/o uditiva di pelosetti disincarnati da tempo.
 
Si dice che trecento anni prima di Cristo, Diogene di Sinope amasse ripetere: «più conosco gli animali e meno amo gli umani». Non mi sento di dargli torto nemmeno oggi. Noi uomini ci collochiamo sulla vetta della piramide evolutiva perché coltiviamo la scienza e la ragione, eppure «la scienza è per coloro che stanno imparando mentre la poesia è per coloro che già sanno» (cit. Hermínio Corrêa de Miranda). L’uomo, si sa, è arrivato sulla Terra circa due milioni di anni orsono, su un pianeta che ha 4.6 miliardi di anni e che si è popolato delle prime forme di piante e animali pluricellulari 3 miliardi più tardi: ciononostante, è convinto che l’animale sia al suo servizio, che possa usufruirne a piacimento, che sia legittimo sfruttarlo oppure trattarlo alla stregua di un giocattolo o peggio ancora di materia inerte. Questa visione antropocentrica e specista oltre a essere ridicola è semplicemente smentita dai fatti: se gli animali fossero stati creati per il mero soddisfacimento del terricolo bipede, perché avrebbero vissuto milioni e milioni di anni prima della comparsa dell’homo abilis? Perché l’essere umano ritiene di aver compreso con certezza il senso evolutivo dell’esistenza (pure della sua!), se è arrivato per ultimo e si è perso gran parte dello spettacolo?
 
Albert Einstein riteneva, a ragion veduta, che: «La mente intuitiva è un dono sacro e la mente razionale un fedele servo. Noi abbiamo creato una società che onora il servo e ha dimenticato il dono». Se penso agli animali, penso che loro siano qui per aiutarci a ridestare l’istinto, l’intuizione, la conoscenza diretta e immediata (in-mediatus). Ci rivelano l’apertura del cuore, l’amore incondizionato e puro che sanno esternare in maniera del tutto naturale (perché sono molto più evoluti di noi), mentre all’uomo fare altrettanto costa sacrificio e duro lavoro su se stesso. Lapalissiano.
 
Quando penso alla crudeltà della separazione da un animale che ci ha amato, rivedo anche la mia esperienza personale, la fatica dell’elaborazione del lutto. Finché non si compie un lungo cammino insieme, superando le difficoltà e godendo delle bellezze della condivisione, della gioia e dell’amore, non si può comprendere appieno il distacco da esseri che hanno affidato con ossequiosa fedeltà l’esistenza alle nostre scelte, ai nostri sbagli, alla nostra capacità (o meno) di comprenderli. Alcuni li trattano male, altri se ne liberano senza pietà né rimorso, altri ancora di fronte a un cane o a un gatto non possono neanche definirsi umani; eppure, loro ci amano incondizionatamente, ci sono vicini nel momento del bisogno, gioiscono insieme a noi e non perché gli abbiamo spiegato alcunché, ma perché hanno capito, intuito, colto al volo. Gli occhi di un cane sono finestre sull’anima, e se noi li addestriamo a dove fare i bisogni fisiologici e a riconoscere certe parole, loro ci insegnano tutto il resto. Quello che ci manca, quello che realmente conta.

Al mio amico Mino



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